Death Note Plus: Download Volume 13 Ita, Download Death Note Anime Ita

Latino - Traduzione Eneide - Libro I

« Older   Newer »
  Share  
|Orochimaru|
CAT_IMG Posted on 15/10/2010, 22:28     +1   -1




PROTASI ED INVOCAZIONE (1-11)
Canto le armi e l'eroe, che per primo dalle coste di Troia
profugo per fato toccò l'Italia e le spiagge
lavinie, lui molto sbattuto e per terre e per mare
dalla forza degli dei, per l'ira memore di Giunone crudele,
e tribolato molto anche da guerra, finchè fondasse la città 5
e portasse gli dei per il Lazio; donde (venne) la razza latina
i padri albani e le mura dell'alta Roma.
Musa ricordami le cause, per quale divinità lesa
o che lamentando, la regina degli dei abbia spinto
l'eroe famoso per pietà a dipanare tanti eventi, ad affrontar 10
tanti dolori. Forse così grandi ( sono) le ire per i cuori celesti?


GIUNONE ADIRATA (12-80)
Vi fu un'antica città, Cartagine, la occuparono coloni
Tirii, lontano contro l'Italia e le bocche Tiberine,
ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra,
che Giunone, si dice, abbia amato più ditutte le terre, 15
posposta (anche ) Samo. Qui le sue armi,
qui il cocchio ci fu; la dea già allora, lo aspira e lo cura,
sia questo regno per (tali) popoli, se mai i fati permettano.
Ma aveva sentito che una stipe di sangue troiano si formava,
che un tempo muterebbe le fortezze tirie; 20
di qui sarebbe giunto un popolo ampiamente capo e superbo
in guerra per la rovina di Libia; così filavan le Parche.
Temendo ciò e memore della antica guerra la Saturnia,
perchè per prima l'aveva mossa a Troia per la cara Argo -
nè ancora eran cadute dal cuore le cause dell'ira e
gli acuti dolori: resta nascosto nell'alta mente
il giudizio di Paride e l'oltraggio della bellezza sprezzata
e la stirpe odiata e i favori di Ganimede rapito:
bruciata per questo, scagliati per tutto il mare,
spingeva lontano dal Lazio i Troiani, avanzi dei Danai
e del crudele Achille, e per molti anni
pressati dai fati erravano per tutti i mari.
Così tanto costava fondare la gente romana.
Appena alla vista della terra sicula in alto mare
lieti alzavan le vele e ne rompevan le spume col bronzo,
che Giunone serbando nel petto l'eterna ferita
questo tra sè: "Io desistere forse dall'iniziativa, vinta,
nè poter deviar dall'Italia il re dei Teucri.
Son proprio bloccata dai fati. Ma Pallade potè bruciare
la flotta degli Argivi e sommergerli nel mare
per la colpa e le furie del solo Aiace Oileo?
Lei scagliato dalle bubi il rapido fuoco
frantumò e le barche e sconvolse le acque coi venti,
con la bufera lo agguantò, trapassato il petto, esalante
fiamme e lo inchiodò sullo scoglio aguzzo;
ma io, che procedo regina degli dei e di Giove
sia sorella che sposa, con una sola razza tanti anni
faccio guerre. Ma nessuno adora la maestà di Giunone
mai più o supplice porrà offerte su altari?"
La dea cose meditando tali cose tra sè con animo acceso
giunse in Eolia, patria di tempeste, luoghi pieni
di Austri furenti. Qui Eolo in vasta caverna
blocca i venti violenti e le roboanti tempeste
con autorità e li frena con catene e prigione.
Essi riluttanti con grande brontolio del monte
fermono attorno le sbarre; Eolo siede sull'alta fortezza
tenendo gli scettri e placa i cuori e controlla le ire.
Se non lo facesse, davvero rapidi prenderebbero mari
e terre ed il cielo profondo e con sè spazzerebbero per l'aria;
ma il padre onnopotente li nascose in nere caverne
temendo ciò, e sovrappose una mole ed alti monti
e diede un re, che con norma sicura sapesse
sia bloccare che al comando allentare le briglie.
Ma con lui dunque supplice Giunone usò queste frasi:
"Eolo, a te infatti il padre degli dei e re degli uomini
concesse sia di calmare che alzare i flutti col vento,
una razza a me avversa naviga il mare tirreno
portando in Italia Ilio ed i vinti penati:
lancia una forza coi venti e copri le poppe sommerse
o falli sbandati e disperdine i corpi nel mare.
Io ho quattordici Ninfe di corpo formoso
di cui quella più bella d'aspetto, Deiopea,
legherò di unione stabile e donerò speciale,
che tutti gli anni passi per tali meriti
con te e ti renda padre di bella prole.
Eolo questo rispose: "Tuo il disturbo, o regina,
cercare quello che vuoi; per me è legge eseguire i comandi.
Tu quel po' di potere, tu gli scettri e Giove
mi accordi, tu mi fai sedere alle feste degli dei
e mi rendi padrone di tempeste e bufere.


LA TEMPESTA (1.81- 123)
Come ciò detto, ribaltata la lancia, colpì
alla costa il cavo monte; ed i venti come fatta una schiera
dov' è dato lo sbocco, corrono e flaggellan le terre col soffio.
Bloccarono il mare e tutto dal massimi fondi
insieme Euro e Noto vanno ed Africo denso
di bufere, e riversan i vasti flutti sui lidi.
Ne segue un grido di uomini ed uno stridio di cordami;
subito le nubi strappano il cielo ed il giorno
dagli occhi dei Teucri; nera sul mare sovrasta la notte;
Tuonarono i poli e l'etere splende di densi fuochi
tutto minaccia sugli uomini una morte imminente.
All'istante le membra di Enea si sciolgono dal brivido;
geme e tendendo entrambe le mani alle stelle
così esprime a voce: "O tre quattro volte felici,
cui toccò affrontare la morte davanti ai volti dei padri e sotto
le alte mura di Troia. O Tidide, il più forte della razza
dei Danai. Io, non aver potuto cadere nelle piane iliache
e spendere questa vita per mano tua, dove giace
il fiero Ettore per l'arma dell'Eacide, dove Sarpedo gigante,
dove sotto l'onde il Simoenta travolge tanti scudi strappati
ed elmi e forti spoglie d'eroi."
A lui che grida così un turbine nemico stridendo per Aquilone
ferisce la vela e solleva i flutti alle stelle.
Si spaccano i remi, poi si rovescia la prora ed offre il fianco
alle onde, l'insegue un monte spezzato con la (sua) massa d'acqua.
Questi pendono in cima l flutto; a questi un'onda aprendosi
scopre tra i flutti la terra, il risucchio infuria sulle sabbie.
Noto tormenta tre navi strappate nelle rocce latenti
rocce che gli Itali chiamano Are in mezzo ai flutti,
enorme dorsale in cima al mare, tre le spinge Euro dall'alto
anche negli stretti di Sirte, miserevole (spettacolo) a vedersi,
e le sbatte nelle secche e le cinge d'un muro di sabbia.
Una, che portava i Lici ed il fidato Oronte,
sotto i suoi occhi l'enorme marea la ferisce dall'alto
sulla poppa: il pilota bocconi è sbalzato e rotolato
a capofitto, ma tre volte il flutto la tortura lì ancora
roteandola e un rapido vortice con l'acqua la divora.
Pochi appaiono nuotando nel vortice vasto,
armi d'eroi e tavole e tesori troiani tra le onde.
Ormai la robusta nave d'Ilioneo, ormai (quella) del forte Acate,
e (quella) da cui (é) portato Abante, e (quella) da cui il vecchio Alete, le ha vinte la bufera; tutte con l'insieme dei fianchi sfasciato accettano la pioggia nemica e per le falle si aprono.


NETTUNO, DIO DEL MARE, INTERVIENE (1.124-156)
Intanto Nettuno s'accorse che il mare era sconvolto da grande
rumore e che la bufera era scatenata e dai profondi abissi
le acque eran agitate, seriamente sdegnato, e affacciandosi
dall'alto alzò il capo maestoso sulla cima dell'onda.
Vede la flotta d'Enea dispersa per tutto il mare,
i Troiani sommersi dai flutti e dal disastro del cielo;
nè sfuggirono al fratello gli inganni e le ire di Giunone.
Chiama a sè Euro e Zefiro, poi parla così:
"Forse così tanta sicurezza della vostra razza vi sostenne?
ormai senza il mio volere osate sconvolgere cielo e terra,
venti, e alzare così grandi masse?
Perchè io vi...ma è meglio calmare i flutti sconvolti.
Poi mi pagherete i misfatti con pena non omparabile.
Affrettate la fuga e così dite al vostro re:
non a lui fu dato il potere del mare ed il severo tridente,
ma a me per fato. Lui possiede le enormi rocce,
le vostre case, Euro; si sbatta in quella sede
Eolo e regni sul chiuso carcere dei venti".
Così parla, e con l'ordine ben presto placa il gonfio mare
spazza via le nubi raccolte e riporta il sole.
Cimotoe insieme e Tritone sforzandosi disincaglian
le navi dallo scoglio aguzzo; lui le alza col tridente
apre le vaste Sirti e placa il mare
e colle ruote leggere percorre le cime delle onde.
E come in una grande folla quando spesso è nata
una sommossa ed il volgo plebeo infuria con violenze
ed ormai volano incendi e sassi, la rabbia procura armi;
allora, se per caso han visto un uomo serio per virtù
e meriti, tacciono e stanno con orecchie attente;
egli guida i cuori con le parole e addolcisce gli spiriti:
così tutto il frastuono del mare cessò, dopo che il padre
affacciandosi sull'acque e portato nel cielo aperto 135
piega i cavalli e volando col cocchio veloce dà le briglie.


GLI ENEADI SULLE COSTE DELLA LIBIA (1.157- 222)
Stanchi gli Eneadi cercan di raggiungere a gara
i lidi vicini e si volgono alle spiage di Libia.
C'è un luogo in profonda insenatura: l'isola crea
un porto con la barriera dei fianchi, su cui ogni onda
dall'alto si grange e si scinde in seni appartati.
Di qua e di là vaste rupi e scogli gemelli minacciano
al cielo, e sotto la loro cima attorno
le acque taccion tranquile; poi sopra una scena di selve
brillanti, ed un nero bosco sovrasta con ombra terrificante.
su fronte opposto una grotta con scogli incombenti;
dentro acque dolci e sedili di vivo sasso,
una casa di Ninfe. Qui nessun cordame trattiene
le stanche navi, non le lega un'ancora con l'attacco adunco.
Qui entra Enea raccolte stte navi da tutto
il numero, ed usciti col grande amore di terra
i Troiani s'impossessano della sabbia bramata
e adagiano sul lido le membra grondanti di sale.
Ma dapprima Acate cavò la scintilla dalla selce
suscitò il fuoco con foglie e diede attorno
secchi alimenti e dallo stimolo ghermì la fiamma.
Poi preparano Cerere (grano) rovinato dalle onde e le armi
di Cerere stanchi dei mali, si accingono ad asciugare
col fuoco i frutti raccolti e macinarli col sasso. 179
Enea intanto ascende lo scoglio, e scruta tutta
la vista attorno nel mare, se mai vedesse qualcuno,
Anteo sbattuto dal vento e le frige biremi
o Capi o le insegne di Caico sulle alte poppe.
Nessuna nave in vista, intravede sul lido tre
cervi erranti; tutte le mandrie li seguono
alle spalle e la lunga schiera pascola per le valli.
Qui si fermò e afferrò con la mano l'arco
e le frecce veloci, armi che il fedele Acate portava,
abbatte anzitutto gli stessi capi sporgenti le alte teste
con le corna ramose, poi avanzando con le armi
scompiglia il volgo e tutta la massa tra i boschi frondosi;
nè si ferma prima che trionfante stenda per terra sette
enormi corpi e adegui il numero con le navi;
di qui si reca al porto e spartisce tra tutti i compagni.
Poi l'eroe divide i vini che il buon Aceste aveva caricato in barili e aveva dato sul lido trinacrio ai partenti,
e placa con frasi gli animi dolenti:
" O amici certo non siamo ignari prima dei mali,
o ne provaste più gravi, un dio pure ad essi darà una fine.
voi avvicinaste anche la rabbia scillea e totalmente
gli scogli risonanti, voi anche provaste le rocce
ciclopiche: rianimate i cuori e lasciate il triste
timore; forse un giorno gioverà ricordare anche questo.
Tra varie vicende, tra tanti rischi di eventi
miriamo al Lazio, dove i fati mostrano dimore
tranquille; là è giusto risorgano i regni di Troia:
resistete e mantenetevi per giorni migliori."
Così dice a parole e triste per gli enormi affanni
finge col volto fiducia, reprime nel cuore il forte dolore.
Essi si accingono alla preda ed ai banchetti futuri:
strappan dalle costole i dorsi ed apron le viscere;
parte tagliano in pezzi e li infilano vibranti con spiedi,
mettono caldaie sul lido ed altri forniscono fiamme.
Poi col cibo riprendon le forze, e sparsi nell'erba
si riempion di vecchio Bacco e ricca selvaggina.
Dopo che fu tolta la fame e sgombrate le mense
con lungo parlare rievocano gli amici perduti,
tra la speranza e la paura del dubbio, sia li credano vivere
sia soffrire la fine nè più sentire, (anche se chiamati).
Soprattutto il pio Enea ora piange tra sè la sorte del fiero 220
Oronte, ora di Amico ed i crudeli destini
di Lico ed il forte Giante ed il forte Cloanto.


DESTINO DEGLI ENEADI (1.223- 304)
Ed ormai era la fine, quando Giove dalla sommità del cielo
guardando il mare, vi volan le vele, e le terre distese
ed i lidi e i vasti popoli, così si fermò al vertice
del cielo e fissò gli occhi sui regni di Libia.
Ma parlò a lui che meditava in cuore tali pensieri Venere
piuttosto triste e sparsa gli occhi splendenti di lacrime:
"O tu che reggi le sorti di uomini e dei
con poteri eterni ed atterrisci col fulmine,
che poteron commetter di sì grave contro di te il mio Enea,
che cosa i Troiani, cui dopo aver patito tante stragi
si chiude tutto il mondo a causa dell'Italia?
Veramente che di qui un giorno i Romani, passando gli anni,
di qui sarebbero i capi, dal sangue rinnovato di Teucro,
che possedessero il mare, e tutte le terre con autorità,
avendolo tu promesso - quale decisione , o padre, ti cambia?
con questo davvero consolavo il tramonto di Troia e le tristi
rovine ripagando i fati contrari con fati (nuovi);
Ora la stessa dorte perseguita eroi spinti da tante disgrazie.
Che termine dai delle fatiche, o gran re?
Antenore sfuggito di mezzo agli Achivi potè
penetrare i golfi illirici e superare sicuro gli interni
regni dei Liburni e la fonte del Timavo,
da cui per nove bocche con vasto frastuono del monte
giunge il mare scosceso e rompe campi con massa ruggente.
Qui almeno egli stabilì la città di Padova e le dimore
dei Teucri e diede un nome al popolo fissò le armi
troiane, ora assicurato da placida pace riposa:
noi, tua progenie, cui prometti la fortezza del cielo,
perdute (cosa indicibile) le navi, per l'ira di una sola
siamo traditi e siamo separati lontano dalle itale spiagge.
Questo il premio della virtù? così ci rimetti ai comandi?"
A lei sorridendo il creatore di uomini e dei
col volto, con cui rasserena cielo e tempeste,
sfiorò le labbra della figlia, quindi parla così:
" Risparmia la paura, Citerea, ti rimangono intatti i fati
dei tuoi; vedrai la città e le promesse mura
di Lavinio, e sublime porterai alle stelle del cielo
il magnanimo Enea, e la decisione non mi cambia.
Orbene qui ti parlerò, poichè questo affanno ti tormenta,
e più lontano meditando i misteri dei fati (li) manifesterò:
farà una grande guerra in Italia e distruggerà popoli fieri
stabilirà leggi e mura per gli eroi, finchè
la terza estate lo vedrà regnante sul Lazio
e passeranno tre inverni, sconfitti i Rutuli.
Ma il fanciullo Ascanio, cui è aggiunto il nome Iulo
(era Ilo, fin che la realtà ilia restò al potere)
compirà trenta grandi giri (del sole, anni) di potere,
passando i mesi, e trasferirà il regno dalla sede
di Lavinio, e munirà Alba Longa di grande potenza.
Qui ormai si regnerà per trecento anni
sotto il popolo ettoreo, finchè una regina sacerdotessa,
ilia, gravida di Marte darà con parto prole gemellare.
Quindi lieto per la fulva protezione della lupa nutrice
Romolo raccoglierà un popolo e fonderà le mura mavorzie
e dal suo nome esprimerà i Romani.
Per questi non pongo nè limiti d'azione ne tempi:
ho concesso un potere senza fine. Anzi la dura Giunone,
che adesso sconquassa con paura e terre e cielo,
riporterà in meglio le decisioni, con me favorirà
i Romani, signori delle situazioni e popolo togato.
Così si decise. Verrà un'epoca, passando gli anni,
che la casa di Assaraco soggiogherà Ftia e la famosa
Micene e dominerà sulla vinta Argo.
Nascerà trtoiano da bella stirpe Cesare,
che delimiterà l'impero con l'Oceano, ela fama con gli astri,
Giulio, nome derivato dal grande Iulo.
Costui tu l'accoglierai sicura in cielo carico delle spoglie d'Oriente; costui pure sarà invocato con voti.
Allora finite le guerre i secoli crudeli si mitigheranno:
la bianca Fede e Vesta, Quirini col fratello Remo
faranno le leggi; si chiuderanno col ferro e stretti strumenti
le porte di Guerra; l'empio Furore dentro
sedendo sulle crudeli armi e imprigionato da cento nodi
bronzei dietro la schiena fremerà con la bocca insanguinata."
Così dice e manda dall'alto il figlio di Maia,
perchè le terre e le nuove fortezze di Cartagine si aprano
per l'ospitalità ai Teucri, che Didone ignara del fato
non (li) cacciasse dai territori. Egli vola per l'ampia aria
col remeggio delle ali e pronto si fermò sulle spiagge di Libia.
Ed ormai esegue gli ordini, ed i Puni lasciano gli animi
fieri, volendolo il dio; anzitutto la regina
ha un animo calmo ed un proposito benevolo verso i Teucri.


VENERE ED ENEA ( 1.305-339)
Ma il pio Enea meditando moltissimo durante la notte, 305
appena fu data la luce vitale decise di uscire ed esplorare
i nuovi luoghi, quali spiagge abbia raggiunto col vento,
chiedere chi, se uomini o belve, poichè vede (luoghi) incolti,
li abiti e riferire ai compagni cose esatte.
Occulta nella rientranza dei boschi sotto una rupe scavata
la flotta chiusa attorno da alberi e fresche ombre;
egli accompagnato dal solo Acate avanza
brandendo in mano due giavellotti di largo ferro.
Ma lui si offerse incontro la madre in mezzo al bosco
tenendo un volto ed un portamento di ragazza ed armi
di ragazza spartana, o quale la tracia Arpalice (che)
affatica i cavalli e sorpassa in fuga il veloce Ebro.
Infatti secondo l'uso la cacciatrice aveva sospeso alle spalle il comodo arco e aveva lasciato sciogliere la chioma ai venti
nuda il ginocchio e raccolte con nodo le vesti fluenti.
E per prima disse:"Olè, giovani, mostrate se mai
vedeste qui una delle mie sorelle errante,
cinta di faretra e della pelle di una lince chiazzata,
o incalzante con grida la corsa d'un cinghiale schiumante".
Così Venere e così il figlio di Venere in risposta cominciò:
"Nessuna delle tue sorelle fu da me vista nè sentita,
oh, come parlarti, ragazza? Infatti non hai volto
mortale, nè la voce richiama una creatura, oh, dea davvero
o sorella di Febo? oppure una della famiglia delle Ninfe?
Sii favorevole, qualunque (tu sia) e allevia il nostro affanno
e rivela finalmente sotto che cielo, in quali spiagge del mondo
siamo gettati: ignari sia delle persone che dei luoghi
erriamo spinti qui dal vento e dai vasti flutti.
Molta vittima cadrà per te davanti agli altari per nostra mano"
Allora Venere: "Veramente non mi degno di tale onore; 335
per ragazze tirie à costume portar la farestra
e legare col purpureo coturno legare le gambe.
Vedi regni punici, Tirii e la città di Agenore;
ma territori libici, razza indomabile in guerra.


LA STORIA DI DIDONE ( 1.340 - 417)
Tiene il potere la tiria Didone partita dalla città
fuggendo il fratello.E' un oltraggio lungo, lunghi
gli intrighi; ma seguirò i sommi capi delle vicende.
A costei era marito Sicheo, il più ricco d'oro
dei Punici, e amato dal grande amore della misera,
a lui il padre l'aveva data intatta e l'aveva unita
inprime nozze. Ma teneva i regni di Tiro il fratello
Pigmalione, per malvagità più feroce di tutti gli altri.
Tra essi venne in mezzo il furore. Egli empio
cieco per amore dell'oro abatte con l'arma Sicheo
di nascosto che non temeva davanti agli altari; sicuro degli affetti
della sorella; ed a lungo nascose il fatto e fingendo molto
il malvagio illuse con vana speranza l'afflitta amante.
Ma lo stesso fantasma del marito insepolto venne nei sogni
alzando i pallidi sembianti in modi straordinari;
svelò i crudeli altari ed il petto trafittodall'arma,
scoprì tutto il cieco delitto della casa.
Allora raccomanda di affrettare la fuga e andarsene dalla patria
e come aiuto per la via rivelò vecchi tesori
sotto terra, una ignota quantità di oro e argento.
Così sconcertata Didone preparava fuga e compagni.
Si radunano quelli che avevano o crudele odio o
paura del tiranno; le navi, che per caso eran pronte,
le prendono e le carican d'oro. I beni dell'avaro
Pigmalione son portati per mare; capo dell'impresa una donna
Raggiunsero i luoghi, dove ora vedraii le enormi
mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine,
e comprati il suolo, Birsa dal nome del fatto,
quanto potessero circondare con una pelle di toro.
Ma voi chi mai (siete)? o da quali spiagge veniste?
Dove mai volgete il cammino?"Alla richiedente egli così
sospirando e traendo dal profondo (del) petto la voce:
"O dea, m'avviassi rifacendomi dal primo inizio
e ci fosse tempo di sentire le storie delle nostre pene
Vespero, chiuso l'Olimpo, concluderebbe prima il giorno.
Noi ci spinse dall'antica Troia, se per caso giunse alle vostre
orecchie il nome di Troia, portati per diversi mari
una tempesta, per suo disegno, alle spiagge libiche.
Sono il pio Enea, che reco con me con la flotta
i Penati strappati al nemico, per fama noto oltre il cielo;
cerco la patria Italia e la mia stirpe dal sommo Giove.
Con venti navi affrontai il mare frigio,
mostrandomi la via la madre dea seguendo i fati assegnati;
appena sette strappate alle onde e ad Euro restano.
Io ignoto, bisognoso, percorro i deserti di Libia,
cacciato da Europa ed Asia". Ma non sopportando più
il dolente Venere così in mezzo al dolore interruppe:
"Chiunque sia, lo credo, non odioso ai celesti respiri le arie
vitali, tu che raggiungesti la città tiria;
affrettati dunque e di qui recati alle porte della regina.
Infatti t'annuncio i compagni reduci e la flotta restituita
e condotta al sicuro, cambiati gli Aquiloni,
se i genitori falsi non rivelarono invano la profezia del falso.
Osserva dodici cigni in fila festanti,
che dalla regione celeste l'uccello di Giove turbava nel cielo
aperto; ora sembrano in lunga schiera
o prendere terra o già presa dominarla.
Come essi reduci giocano con l'ali sibilanti
ed hanno accerchiato il cielo in gruppo e levato i canti,
non altrimentile tue poppe ed i giovani dei tuoi
o tiene il porto o affronta le entate a gonfia vela.
Affrettati dunque e, dove la via ti guida, dirigi il passo".
Disse e girandosi splendette col roseo collo,
le chiome spirarono dal capo profumo divino
d'ambrosia; la veste defluì alla punta dei piedi,
e dal potamento si rivelò vera dea. Quando egli riconobbe
la madre inseguì (lei) fuggente con la frase:
"Perchè tante volte, crudele anche tu, inganni il figlio
con false visioni? Perchè non si concede striger la destra
alla destra ed ascoltare e rispondere vere parole?"
Così la riprende e volge il passo alle mura. 410
Ma Venere chiuse i partenti di aria oscura,
e la dea (li) circonfuse di spesso manto di nebbia,
nessuno potesse vederli e nessuno toccarli
o macchinare un intoppo o chiedere i motivi del giungere.
Ella se ne andò in alto a Pafo e rivisita lieta le sue
dimore, dove per lei c'è un tempio, e cento altari
son ardenti d'incenso sabeo e profumano di fresche ghirlande.

LA COSTRUZIONE DI CARTAGINE (1.418-440)
Intanto percorsero la via, dove mostra il sentiero,
e già salivano il colle, che altissimo sta sopra alla città
e dall'alto prospetta le fortezze dirimpetto.
Ammira la mole Enea, un tempo baracche,
ammira le porte e lo strepito e le pavimentazioni delle vie.
Si impegnano ardenti i Tirii: parte ad alzare le mura,
e costruire la rocca e rotolare con le mani le pietre,
parte a scegliersi il posto per la casa e circondarlo con solco;
scelgono leggi e magistrati ed il sacro senato.
Qui altri scavano il porto, qui altri mettono le fondamenta
profonde ai teatri, scolpiscono dalle rupi
enormi colonne, adeguati ornamenti alle scene future:
quali le api nella nuova estate per i campi fioriti
la fatica (le) stimola sotto il sole, quando fan uscire i figli
cresciuti, o quando stipano i limpidi mieli
e colmano di dolce nettare le celle,
o accolgono i carichi delle arrivanti, o creata una schiera
cacciano dagli alveari i fuchi, razza ignava;
l'opera ferve ed i fragranti mieli profumano di timo.
"Oh fortunati, le cui mura gà sorgono".
Dice Enea e contempla i frontoni della città.
Si porta, avvolto da nebia, mirabile ( cosa) a dirsi,
in mezzo, e si mescola agli uomini e non è visto da alcuno. 440


IL TEMPIO DI GIUNONE A CARTAGINE ( 1.441- 493)
Un bosco vi fu in mezzo alla città, piacevolissimo d'ombra,
dove dapprima i Puni sbattuti da onde e bufera
scavarono sul posto il segno, che la regale Giunone
aveva rivelato, la testa di un fiero cavallo; così infatti in guerra
sarebbero stati popolo famoso e ricco di vitto per i secoli.
Qui la sidonia Didone fondava un immenso tempio
a Giunone, ricco per doni e maestà della dea,
soglie bronzee gli sorgevano dai gradini e travi connesse
con bronzo, il cardine strideva per le porte bronzee.
Anzitutto in questo bosco una cosa nuova offertasi alleviò
il timore, qui anzitutto Enea osò sperare la salvezza
e confidare di più, (essendo) abbattute le circostanze.
Infatti mentre guarda ogni cosa sotto l'immenso tempio
attendendo la regina, mentre ammira quale sia la ricchezza
per la città, i gruppi di artisti fra loro e la fatica delle
imprese, vede le battaglie iliache per ordine
e le guerre già diffuse per fama in tutto il mondo,
gli Atridi e Priamo ed Achille crudele per entrambi.
Si fermò e piangendo"Quale luogo mai, disse, Acate,
quale regione sulle terre non piena del nostro affanno?
Ecco Priamo. Qui pure ci sono per l'onore i suoi premi.
ci sono i pianti delle sorti e le cose mortali toccan l'anima.
Sgombra le paure; questa fama ti porterà qualche salvezza
Così dice nutre il cuore con la pittura vana
gemendo molto, ed irriga il volto di abbondante fiume.
Infatti vedeva come, combattendo attorno a Pergamo,
di qua fuggissero i Grai, la gioventù troiana incalzasse;
di qua i Frigi, col cocchio il crestato Achille inseguisse.
E non lontano da qui riconosce piangendo le tende di Reso
dai bianchi drappi, che tradite nel primo sonno
il Tidide insanguinato devastava con larga strage,
e devia i cavalli ardenti nell'accampamento, prima che
gustassero i pascoli di Troia ebevessero lo Xanto.
Da un'altra parte Troilo, perdute le armi, fuggendo,
sfortunato ragazzo e scontratosi impari con Achille,
è trascinato dai cavalli e riverso è legato al cocchio vuoto, ancora tenendo le briglie; a lui il collo e le chiome son
tirate per terra, e la polvere è segnata dall'asta rigirata.
Intanto le Troiane andavano al tempio di Pallade non giusta
coi capelli sciolti e portavano il peplo
umilmente, tristi e battendo i petti con le palme;
la dea teneva gli occhi fissi al suolo ostile.
Achille tre volte aveva trascinato Ettore attorno le mura troiane e vendeva il corpo esamine per oro.
Allora davvero dà un immenso gemito dal fondo del cuore,
come vide le spoglie, ed i cocchi, e lo stesso corpo dell'amico e Priamo tendente le mani inermi.
Pure riconobbe se stesso mischiato coi capi achivi,
le schiere orientali e le armi del nero Memnone.
Pentesilea furente guida le file delle Amazzonidi
dagli scudi lunati ed in mezzo a mille freme,
guerriera, legando cinture auree alla mammella mozzata,
e osa, ragazza gareggiare con uomini.


L'ARRIVO DELLA REGINA DIDONE ( 1.494- 519)
Mentre queste cose sembrano ammirevoli al dardanio Enea, mentre stupisce e resta fisso nello spettacolo unico,
la regina, Didone bellissima d'aspetto, si diressee al tempio con una grande squadra avvolgente di giovani.
Quale Diana guida le danze sulle rive d'Eurota o
lungo i gioghi di Cinto, che le mille Oreadi stringono seguendola di
qua e di là; ella porta alla spalla
e procedendo sovrasta tutte le dee,
le soddisfazioni invadono il tacito cuore di Latona:
tale era Didone, tale si portava lieta
in mezzo vigilando sul lavoro e sui regni futuri.
Poi sulle porte della dea, in mezzo alla volta del tempio,
scortata da armi appoggiandosial trono in alto sedette.
Dava sentenze e leggi agli uomini, adeguava la fatica
dei lavori in parti giuste o tirava a sorte:
quando improvvisamente vede avanzare con gran folla
Anteo e Sergesto ed il forte Cloanto
ed altri dei Teucri, che il nero turbine del mare
aveva disperso e portato addirittura ad altre spiagge.
Egli tanto stupì, quanto Acate colpito
da gioia e paura; ardevan desiderosi di stringer
le destre, ma il fatto insolito turba i cuori.
Dissimulan e coperti da cava nube spiano
quale sorte per gli uomini, in quale lido lascino la flotta,
perchè giungano; infatti scelti da tutte le navi andavan
pregando pietà ed al tempio con grido si avviavano.


IL DISCORSO DI ILIONEO ( 1.520 - 560)
Dopo che furon entrati e data la facoltà di parlare apertamente, il più vecchio Ilioneo così cominciò con animo calmo: "O regina, cui Giove concesse fondare una nuova città e moderar con giustizia popoli fieri,
(noi) miseri Troriani, portati in tutti i mari adi venti,
ti preghiamo: allontana dalle navi gli orribili fuochi,
risparmia un popolo pio e più da vicino guarda i nostri casi.
Noi non siamo venuti o a saccheggiare con l'arma i penati
libici, o portare sui lidi le prede rubate;
il cuore non (ha) quella forza nè i vinti così tanta superbia.
C'è un luogo, i Grai lo chiaman col nome d'Esperia,
terra antica, potente per armi e per riccheza di terra;
(la) curarono uomini enotri; ora è fama che i più giovani
l'han chiamata Italia il popolo dal nome del capo.
questa fu la rotta,
quando Orione burrascoso sorgendo da flutto improvviso
(ci) portò in secche cieche e completamente ci disperse
coi violenti Austri e tra l'onde e tra rocce inaccessibili
col mare vincente; qui pochi nuotammo alle vostre spiagge.
Che razza di uomini questa? o quale patria così barbarapermette
simile usanza? siamo respinti dall'ospitalità della sabbia;
dichiaran guerre e vietano di fermarsi sulla terra più vicina.
Se disprezzate il genere umano e le armi mortali,
sperate almeno gli dei memori del bene e del male.
Ci era re Enea, di cui non ci fu altro più giusto
per virtù, nè superiore in guerra ed in armi.
Ma se i fati conservan quell'eroe, se si nutre di aria
celeste nè ancora giace nell'ombre crudeli,
non (c'è) paura, nè ti dispiaccia di aver gareggiato per prima
in un favore. Anche le regioni sicule hanno città
ed armi ed il famoso Aceste da sangue troiano.
Sia permesso attraccare la flotta sconvolta dai venti
e coi boschi preparare travi e tagliare remi,
se è dato tendere all'Italia coi compagni, ripreso
il re, per dirigerci lieti in Italia e nel Lazio;
se la salvezza è troncata, ed il mare di Libia tiene te,
ottimo padre dei Teucri nè resta la speranza di Iulo,
ma almeno cerchiamo gli stretti e le sedi pronte di Sicilia
donde qui sbalzati, ed il re Aceste."
Così Ilioneo; tutti insieme i Dardanidi fremevano
in volto.


LA RISPOSTA DI DIDONE ( 1.561- 578)
Allora Didone, abbassato ilvolto, brevemente afferma:
"Togliete la paura dal cuore, Teucri, esclidete gli affanni.
realtà dura e novità del potere mi obbligano a far tali
cpse e attorno guardar con guardia i confini.
Chi ignora la stirpe degli Eneadi, chi la città di Troia,
eroismi ed eroi o gli incendi di così grande guerra?
Noi Puni non abbiamo cuori così ottusi,
nè il sole aggioga i cavalli così lontano dalla città tiria.
Sia che voi vogliate la grande Esperia e le piane saturnie
sia i territori di Erice ed il re Aceste,
vi congederò sicuri per l'aiuto e vi aiuterò con risorse.
Volete anche fermarvi con me in questi regni?
La città che organizzo, è vostra; attraccate le navi;
troiano o tirio per mè sarà trattato senza alcuna differenza.
E magari lo stesso re Enea spinto dallo stesso Noto
si presentasse. Invierò certamente dei fidati
per le spiagge e ordinerò di controllare le estremità della Libia, se vaga sbattuto in qualche selva o città".
ENEA SI RIVELA (1.579- 612)
Animati in cuore da queste parole sia il forte Acate
sia il padre Enea ormai ardevan di romper la nube.
Acate per primo richiama Enea:
"Figlio di dea, quale pensiero sorge in cuore?
Vedi tutto sicuro, la flotta e i compagni accolti.
Manca uno, che noi stessi vedemmo in mezzo all'onda
sommerso; il resto corrisponde alle parole della (tua) madre".
Aveva appena detto ciò che subito la nube stretta attorno
si rompe e si libera nell'etere aperto.
Enea s'arrestò rifulse in luce splendente
volto e spalle simili ad un dio; in fatti la stessa madre
aveva infuso sul figlio bella capigliatura e la luce
purpurea di giovinezza e dolce bellezza negli occhi:
quale grazia le mani aggiungono all'avorio, o come
l'argento ed il marmo pario è incastonato col biondo oro.
Allora così subito si rivolge alla regina ed a tutti
improvviso dice: "Sono qui, colui che cercate,
il troiano Enea, strappato dalle onde libiche.
Oh tu sola che hai avuto pietà degli indicibili affanni di Troia, che associ noi, resti dei Danai, esausti ormai
per tutti i rischi di terra e di mare, bisognosi di tutto,
con città, case, non è di nostra forza rendere grazie
adeguate, Didone, nè della stirpe dardania, quel che cè ovunque, che (è) dispersa per il vasto mondo.
Gli dei ti offrano adeguate ricompense, se qualche divinità guarda i pii, se mai c'è un che di giustizia ed una volontà
cosciente del bene. Quali tempi così fortunati ti han
prodotto? Quali sì grandi genitori t'han generata?
Fin che i torrenti correranno nei flutti, fin che le ombre
rischiareranno le cavità per i monti, fin che il cielo nutra le stelle, sempre resteranno l'onore e il tuo nome e le lodi, qualunque terra mi chiami". Detto così, cerca l'amico
Ilioneo con la destra e con la sinistra Seresto,
poi gli altri, il forte Gia ed il forte Cloanto.


ACCOGLIENZA OSPITALE DI DIDONE ( 1.612-636)
Didone sidonia prima si stupì per l'aspetto,
poi per la sorte tanto grande dell'eroe, e così parlò:
"Quale sorte, figlio di dea, ti perseguita attraverso
sì grandi pericoli? che forza ti approda a spiagge feroci?
Non sei tu quell'Enea che la madre Venere generò
al dardanio Anchise presso l'onda del frigio Simoenta?
E davvero ricordo che Teucro venne a Sidone
cacciato dalle patrie terre, cercando nuovi regni
coll'aiuto di Belo; allora il padre Belo occupava
la ricca Cipro e vincitore la teneva in potere.
Già da quel tempo mi era nota la sorte della città
troiana ed il tuo nome ed i re pelasgi.
Lo stesso nemico innalzava i Teucri con grande lode
e si voleva nato dall'antica stirpe dei Teucri.
Perciò suvvia, o giovani, entrate nelle nostre case.
Una situazione simile volleche io pure sbattuta tra tanti
affanni mi fermarsi infine in questa terra;
non ignara del male imparo a soccorrere i miseri".
Così ricorda; insieme guida Enea nelle regali
case, insieme indice lodi nei templi deli dei.
Intanto invia non di meno venti tori ai compagni
sui lidi, cento irsute schiene di porci,
cento grassi agnelli con le madri,
regali e gioia del giorno.
Ma il palazzo interno splendido è parato
di lusso regale, preparano banchetti in mezzo alle case:
Vesti ricamate con arte e splendida porpora,
ingente argento su mense, e le forti imprese dei padri
cesellate su oro, lunghissima serie di azioni fatta
da tanti eroi dall'antico inizio della stirpe.Enea, nè infatti l'amore paterno permise che la mente
riposasse, manda alle navi il veloce Acate,
riferisca queste cose ad Ascanio e lo guidi alle mura;
ogni cura del caro padre sta in Ascanio.
Ordina inoltre di portare doni strappati alle rovine
iliache, un manto rigido per oro e ricami
ed un velo intessuto di croceo acanto,
ornamenti dell'argiva Elena, che ella aveva portato
da Micene dirigendosi a Pergamo ed alle nozze
proibite, dono mirabile della madre Leda;
inoltre uno scettro, che Ilione la maggiore delle figlie di Priamo, aveva portato un tempo, ed un monile per collo
gemmato, ed una doppia corona di gemme ed oro.
Così affrettando il cammino, Acate andava alle navi.


VENERE PREPARA INGANNI ( 1.657- 696)
Ma Citerea medita in cuore nuovi artifici, nuovi
piani, perchè Cupido cambiato l'aspetto ed il volto
venga al posto del dolce Ascanio, e con doni accenda
la furente regina ed avvolga il fuoco alle ossa.
Certamente teme la casa ambigua ed i Tirii falsi;
brucia la crudele Giunone e la pena ritorna di notte.
Perciò con queste parole parla ad Amore alato:
"Figlio, mie forze, unico, mia grande potenza,
figlio, che sprezzi le armi tifee del sommo padre,
mi rifugio in te e supplice chiedo le tue volontà.
Come tuo fratello Enea sia sbattuto in mare per tutti
i lidi per gli odi della feroce Giunone,
ti sono cose note, e spesso ti dolesti del nostro dolore.
Ora la fenicia Didone lo tiene e lo ferma con blande
paroce e temo dove si volgano le ospitalità
giononie: non cesserà in un momento così importante.
Perciò penso di prendere prima con inganni e legare
con fiamma la regina, che non si cambi per qualche divinità, ma sia bloccata con me dal grande amore d'Enea. Come tu possa far ciò senti ora il nostro piano:
il regale fanciullo, mio grandissimo amore, si prepara ad andare su chiamatadel caro genitore nella città sidonia
portando doni restanti dal mare e dalle fiamme di Troia;
io lo nasconderò assopito sugli alta Citera
o su Idalio in luogo condacrato, che nessuno possa
sapere gli inganni o accorrere in mezzo.
Tu inganna il suo aspetto, per non più d'una notte
con un raggiro e da ragazzo vesti le note fattezza del ragazzo, perchè, quando la felicissima Didone ti
prenderà in braccio tra le mense regali e il liquido lieo,
quando darà abbracci e stamperà dolci baci,
tu ispiri il fuoco occulto e l'inganni col veleno".
Amore obbedisce ai detti della cara madre, e sveste
le ali gioendo avanza col passo di Iulo.
Ma Venere infonde ad Ascanio un placido sonno
per le membra, e scaldato in grembo la dea lo alza
negli alti boschi di Idalia, dove il molle amaraco
esalante lo abbraccia di fiori e dolce ombra.


BANCHETTO REGALE ( 1.695- 722)
Ed ormai Cupido andava obbedendo alla parola
e potava regali doni, lieto ai Tirii, sotto la guida di Acate.
Quando giunge, già la regina aurea si è adagiata sui superbi tappeti e collocata in mezzo sul divano,
già il padre Enea e la gioventù troiana
s'uniscono e si distende su giaciglio e porpora .
I servi danno acqua alle mani e preparano Cerere
su canestri e portan salviette, rasati i tessuti.
dentro cinquanta serve, il cui compito preparar
provviste in lunga fila e far fumare i focolari con fiamme;
cento altre ed altrettanti servi pari d'età,
che colmino le mense di vivande ed offrano calici.
Ma anche i Tirii numerosi s'aggiunsero nelle liete sale;
pregati di acomodarsi sui letti dipinti
ammiran i doni d'Enea, ammirano Iulo,
le splendenti fattezze del dio e le simulate parole,
ed il manto ed il velo dipinto di croceo acanto.
Soprattutto l'infelice Fenicia, votata a futura sventura,
non può saziare la mente e s'accalora guardando
ed insieme è commossa dal ragazzo e dai doni.
Egli come s'attaccò con l'abbraccio al collo d'Enea
e riempì il grande amore del falso genitore,
si recò dalla regina. Questa con gli occhi, questa
tutto il cuore si incolla ed intanto lo scalda col petto
Didone ignara quale grande dio si posi sulla misera.
Ma quello memore della madre Acidalia comincia a poco
a poco a cancellare Sicheo e tenta cambiare con amore
vivo i sensi già prima assopiti ed i cuori non avvezzi.


LA FESTA NOTTURNA NELLA REGGIA ( 1.723- 756)
Dopo che (ci fu) una prima pausa al banchetto e le mense
tolte, mettono grandi vasi e coronano i vini.
Si fa frastuono nelle case e fan echeggiare il suono
per gli ampi atrii; pendono lampade accese dai soffitti
dorati e le torce vincon la notte.
Qui la regina chiese un vaso pesante d'oro e di gemme
e lo riempì di vino puro, Belo e tutti (quelli) da Belo
eran soliti riempirla; allora si fece silenzio in casa:
" Giove, dicono che tu dai i diritti agli ospiti,
fa' essere questo un giorno lieto per i Tirii e per i giunti
da Troia, e ricordarne i nostri nipoti.
Assista Bacco datore di gioia e la buona Giunone;
e voi, Tirii, celebrate l'incontro festanti".
Disse e libò sulla mensa la gloria dei liquidi
e per prima, libato, toccò a fior di labbra;
poi diede a Bizia incitandolo; egli sollecito bevve
la coppa spumante e tracannò col boccale aureo pieno;
poi gli altri nobili. Il chiomato Iopa con la cetra
dorata suona, e lo istruì il sommo Atlante.
Costui canta la luna errante e le fatiche del sole,
donde la specie degli uomini e le bestie, donde pioggia
e fulmini, Arturo e le Iadi piovose ed i gemelli Trioni,
perchè i soli invernali tanto s'affrettino a bagnarsi d'Oceano,
o quale ritardo s0opponga alle lente notti;
i Tirii raddoppiano con l'applauso, li seguono i Troiani.
ed ancora l'infelice Didone protraeva la notte
con vario parlare e beveva il lungo amore,
molto chiedendo su Priamo, su Ettore molto;
ora con che armi fosse giunto il figlio d'Aurora,
ora quali i cavalli di Diomede, or quanto grande Achille.
"Anzi orsù, ospite, e dicci dal primo inizio
le insidie" disse" dei Danai e le sorti dei tuoi
ed il tuo errare; infatti ormai la settima estate
ti porta errante per tutte le terre ed i flutti".
 
Top
0 replies since 15/10/2010, 22:28   141 views
  Share