| LA PARTENZA DA GAETA(7.1-9) Tu pure ai nostri lidi, nutrice di Enea, morendo desti, Gaeta, eterna fama; ed ora il tuo onore conserva una sede e la fama segna le ossa nella grande Esperia, se quella è gloria. Ma il pio Enea, eseguite le esequie ritualmente, 5 sistemato il materiale del tumulo, dopo che l'alto mare si quieto, apre la rotta alle vele e lascia il porto. Spirano le brezze sulla notte né la candida luna nega il percorso, il mare splende sotto tremula luce
.LE TERRE DI CIRCE (7.10-24) Si sfiorano i vicini lidi della terra di Circe, 7.10 dove la ricca figlia del Sole fa risuonare i boschi inaccessibili di continuo canto, nella casa superba brucia l'odoroso cedro per le luci notturne scorrendo le sottili tele col pettine vivace. Di qi si sentono i gemiti e le ire di leoni 15 che rifiutano le catene e ruggiscono nella tarda notte, setolosi porci ed orsi nei recinti fremevano e forme di grandi lupi ululavanoo, che dall'aseptto di uomini la crudele dea Circe con potenti erbe aveva trasformato in volti e dordi di belve. 20 Ma perché i pii Troiani non soffrissero tali mostri entrati nei porti e non affrontassero crudeli lidi Nettuno riempì le vele di venti favorevoli, favorì la fuga e li portò oltre i fervidi guadi.
IL BIONDO TEVERE (7.25-36) Il mare ormai rosseggiava di raggi e dall'alto etere 25 la gialla Aurora splendeva nelle rosse bighe, quando i venti cessarono e subito ogni soffio ristette, e sulla calma superficie lottano i remi. Allora Enea dal mare vede un ingente bosco. In mezzo ad esso con corso ameno il Tevere 30 con salti rapidi e biondo di molto limo si getta in mare. Vari uccelli avvezzi alle rive ed all'alveo del fiume attorno e sopra volteggiavano sul bosco e col canto accarezzavano l'aria. Ordina ai compagni di piegare la rotta e volgere 35 le prore alla terra e lieto si inoltra nel fiume ombroso.
INVOCAZIONE ALLA MUSA (7.37-45) Orsù, Erato, narrerò quali re, quali tempi, quale stato di cose ci fu nell'antico Lazio, quando lo straniero esercito spinse la flotta alle spiagge ausonie, e ricorderò gli inizi del primo scontro. 40 Tu, dea, tu istruisci il poeta. Dirò le orribili guerre, dirò le sciere ed i re spinti dagli animi alla morte, la truppa tirrena tutta l'Esperia raccolta sotto le armi. Mi nasce un maggior ordine delle cose, muovo una impresa maggiore.
IL RE LATINO E PORTENTI DIVINI (7.45-80) Il re Latino ormai vecchio reggeva 45 in lunga pace i campi e le placide città. Lo sappiamo nato da Fauno e dalla ninfa laurente Marica; Pico (fu) padre di Fauno ed egli dichiara padre te, Saturno, tu ultimo capo della stirpe. Per fato degli dei egli non ebbe un figlio e nessuna 50 prole maschile e nascendo alla prima età fu tolta. Una soila figlia salvava la casa e sì garndi sedi ormai matura per il marito, nubile con anni maturi. Molti dal grande Lazio e da tutta l'Ausonia la pretendevano; la pretende, il più bello di tutti gli altri, Turno, potente per avi ed antenati, che la coniuge regia con grande amore s'affrettava ad unirselo per genero; ma portenti degli dei s'oppongono con vari terrori C'era un alloro in mezzo al palazzo negli alti cortili; conservato sacro per la chioma con devozione per 60 molti anni, che si diceva lo stesso padre Latino aveva consacrato a Febo, trovatolo, fondando le prime rocche, da esso aveva dato il nome ai coloni Laurenti. Le api portate numerose, mirabile a dirsi, nel limpido etere con ingente ronzio occuparono la sua sommità, ed uno sciame improvviso, intrecciati i piedi tra loro, pendette da un ramo frondoso. Subito l'indovino "Un uomo straniero, disse vediamo arrivare ed una schiera dirigersi alle stesse parti dalle stesse parti e dominare la sommità della rocca". 70 Poi, mentre con caste fiaccole onora gli altari, e la giovane Lavinia presiede vicino al genitore, sembrò, terribile, che un fuoco s'attaccasse ai lunghi capelli e tutto l'abbigliamento bruciasse di fiamma crepitante, accese le chiome regali, accesa la corona 75 preziosa di gemme; allora fumante di luce rossastra correva e spargeva Vulcano a tutti i tetti. Si diceva che ciò era orrendo e strano a vedersi: predicevano che lei sarebbe stata illustre per fama e destini, ma recava al popolo grande guerra. 80
GLI ORACOLI DI FAUNO (7.81-106) Il re turbato dai prodigi si reca agli oracoli di Fauno, il profetico genitore, e consulta i boschi sotto l'alta Albunea, che, la maggiore dei boschi, risuona di sacro fonte e oscura esala crudele odore puzzo. 85 Di qui i popoli italici e tutta la terra enotria 85 nei dubbi cercano responsi; qui quando il sacerdote ha portato doni e s'è sdraiato su pelli distese di pecore uccise sotto la notte silente ed ha cercato il sonno, vede molti fantasmi volare in forme strane ode varie voci e gode del colloquio degli dei 90 e parla con Acheronte nei profondi Averni. Qui anche allora lo stesso padre Latino cercando responsi sacrificava ritualmente cento lanute di due anni e appoggiato alla schiena di queste e su pelli distese giaceva: improvvisa dall'alto bosco fu inviata una voce: "Non cercare di legare la figlia con nozze latine, 96 o mia stirpe, non affidarla a nozze preparate; verranno generi stranieri, che col sangue portino il nostro nome alle stelle, dalla cui stirpe i nipoti vedranno tutto volgersi e reggersi sotto i piedi, 100 dove il sole correndo vede entrambi gli Oceani". Lo stesso Latino non blocca nella sua bocca questi responsi del padre Fauno ed i moniti dati nella notte silente, ma la Fama ormai volteggiando attorno per le città ausonie li aveva portati, quando la gioventù 105 laomedonzia legò la flotta all'argine della riva.
LE MENSE DIVORATE (7.107-147) Enea, i primi capi ed il bello Iulo posano i corpi sotto i rami di un'alta pianta, preparano il banchetto e nell'erba mettono focacce di farro sotto le vivande (così Giove stesso ordinava) 110 e accrescono il suolo cereale di frutti agresti. Allora consumato già il resto, come la povertà del mangiare spinse a volgere i morsi verso la piccola Cerere e violare con mani e mascelle audaci il piatto della focaccia fatale né risparmiare le larghe focacce: "Ahi, mangiamo anche le mense? Disse Iulo, nulla più, scherzando. Quella iniziale frase udita portò la fine delle fatiche, il padre la strappò all'inizio dalla bocca del parlante e stupito dalla divinità lo zittì. Subito "Salve terra dovutami dai fati 120 e voi, disse, fidati penati di Troia, salve: qui la casa, questa la patria. Mio padre Anchise, ora lo ricordo, lasciò i misteri dei fati: "Quando, figlio, spinto su ignoti lidi la fame, finite le vivande ti costringerà a mangiare le mense, allora stanco ricordati di sperare le case, e lì collocare con le mani i primi tetti e fortificarli con un vallo" Questa era quella fame, questa ultima restava per porre un termine ai mali. Dunque su e colla prima luce del sole, lieti 130 indaghiamo quali luoghi, quali uomini abitino, dove i popoli abbian mura e dal porto cerchiamo parti diverse. Ora innalzate le coppe a Giove e con preghiere invocate il padre Anchise e mettete vino sulle mense" Poi così espressosi, cinge le tempia di ramo frondoso e prega il genio del luogo, la Terra, prima degli dei, le Ninfe ed i fiumi ancora ignoti, poi la Notte e le stelle nascenti della Notte, ed invoca per ordine Giove Ideo, la madre Frigia, ed i duplici genitori nel cielo e nell'Erebo. 140 Allora il padre onnipotente distinto tre volte dall'alto cielo tuonò, e lui stesso scotendo coi raggi di luce e con l'oro mostro una nueb ardente dall'etere. Allora subito per le schiere troiane si sparge la voce che è ginto il giorno in cui fondare le dovute mura: 145 A gara preparan banchetti e lieti per il grande augurio prendono coppe e incoronano i vini.
AMBASCIERIA AL RE LATINO (7.148-191) Quando il giorno seguente sorto illumina le terre con la prima luce, separati esplorano la città, territori e i lidi del popolo: questi gli stagni della fonte Numica, 150 questo il fiume Tevere, qui abitare i forti Latini. Allora il figlio di Anchise comanda che cento legati scelti da ogni ordine vadano alle auguste mura del re, tutti velati coi rami di Pallade, portino doni all'eroe e chiedano pace per i Teucri. 155 Nessun indugio, comandati s'affrettano e si recano con rapidi passi.Egli delimita le mura con umile fossato e fortifica il luogo e le prime sedi sul lido con merli a modo di accampamento e li cinge. Ormai compiuto il viaggio i giovani vedevano le torri 160 e gli alti tetti dei Latini e s'avvicinavano alle mura. Davanti alla città ragazzi e gioventù nel primo fiore si esercitano a cavallo e controllano i carri nella polvere, o tendono forti archi o lanciano flessibili frecce coi muscoli, si sfidano alla corsa ed al tiro: 165 un araldo avanzato a cavallo riferisce alle orecchie del vecchio re che son giunti uomini alti in abiti sconosciuti. Egli ordina che sian chiamati dentro il palazzo e si siede nel mezzo del trono avito. Palazzo augusto, enorme, alto di cento colonne, 170 la reggia del Laurente Pico fu sulla cima della città, terribile per i boschi ed il culto degli antenati. Qui era rito augurale per i re ricevere lo scettro e prendere i primi fasci; questo tempio era per essi la curia, queste le sedi per sacri banchetti; qui, ucciso un ariete, 175 i padri solevano sedersi a mense ininterrotte. Addirittura le effige degli antichi avi in ordine in vecchio cedro, Italo ed il padre Sabino cultore di vite, conservando la curva falce sotto l'immagine, il vecchio Saturno e l'immagine di Giano bifronte 180 stavano sul vestibolo, altri re dall'origine, che avevanpatito ferite di Marte combattendo per la patria. Inoltre sui sacri stipiti molte armi, pendono carri prigionieri, curve scuri, pennachi di elmi, enormi catenacci di porte, 185 frecce, scudi, rostri tolti da navi . Lo stesso Pico col bastone di Quirino cinto della corta trabea portava con la sinistra lo (scudo) ancile (Pico), domator di cavalli, che Circe sposa presa da passione, colpito dalla verga d'oro e cosparso di veleni 190 trasformòin uccello e ne cosparse di colori le ali.
I LEGATI DAVANTI A RE LATINO (7.192-285) Dentro a tale tempio degli dei Latino sedendo sul seggio paterno chiamò a sé nel palazzo i Teucri, ed, entrati, per primo pronunciò con volto calmo queste parole: "Dite, Dardanidi, non ignoriamo la città e la stirpe 195 e famosi affrontate la rotta per mare, cosa chiedete? Quale causa o di cosa mancando portò al lido ausonio per tante onde azzurre? Sia spinti da errore di viaggio sia da tempeste, quali i marinai in alto mare molto patiscono, 200 entraste tra le rive del fiume e sedete nel porto, non rifuggite l'ospitalità, non ignorate i Latini, popolo di Saturno, non giusto per vincolo o leggi, ma per sua volontà si attiene secondo il costume dell'antico re. Ricordo bene ( la fama è troppo oscurata dagli anni) 205 che i vecchi Aurunci così narravano, come Dardano nato in queste terre emigrò verso le città idee della Frigia ed alla Samo tracia, che ora si dice Samotracia. Di qui, partito dlla sede tirrena di Corito, ora la reggia aurea del cielo stellato l'accoglie sul soglio 210 ed aumenta con gli altari il numero degli dei. Aveva detto e pronunciata la frase così Ilioneo proseguì: "Re, ilustre stirpe di Fauno, né la nera tempesta ci costrinse spinti dai flutti a raggiungere le vostre terre, né stella o lido ci ingannò circa il percorsodella rotta: 215 di proposito tutti con animi volonterosi ci rechiamo in questa città, caccaiti dai regni, che un tempo il sole venendo dall'estremo Olimpo vedeva come i più grandi. Da Giove l'inizio della stirpe, la gioventù dardana gioisce di Giove come avo, lo stesso re dall'alta stirpe di Giove: 220 il troiano Enea ci inviò alla tua reggia. Quale grande tempesta mossa dalla crudele Micene sia corsa per le piane idee, da quali fati spinto l'uno e l'altro mondo d'Asia e d'Europa abbia corso, udì (ognuno) anche se uno lo tiene l'estremità della terra, 225 rifluito l'Oceano su se stesso, anche se uno lo tien separato la zona del sole rovente, stesa in mezzo alle quattro zone. Da quel diluvio portati per tanti vasti mari chiediamo per gli dei patrii una piccola sede ed un lido sicuro, un'nda ed un'aria aperta per tutti. . 230 Non saremo indegni del regno, né la vostra fama sarà resa piccola e non svanirà la gratitudine di tanta azione, né gli Ausoni si pentiranno di aver accolto in seno Troia. Giuro per i fati di Enea e per la potente destra, che è provato in fedeltà, in guerra e nell'armi: 235 molti popoli, molte nazioni ci chiesero e ci vollero unire a sé, non disprezzarci perché per di più portiamo in mano bende sacre e parole invocanti; ma i fati degli dei pretesero coi loro ordini di cercare le vostre terre. Da qui nacque Dardano, 240 qui ritorna, con forti comandi Apollo lo impone, al Tevere tirreno ed ai sacri passaggi della fonte di Numico. Ti dà inoltre picoli doni della precedente fortuna, resti raccolti da Troia in fiamme. Con questo oro il padre Anchise libava presso gli altari, 245 questa era l'insegna di Priamo, quando, chiamati i popoli, rendeva giustizia secondo la legge, lo scettro, la sacra tiara, le vesti, opera delle Iliadi." A tali parole di Ilioneo, Latino tiene il volto fisso in tensione e immobile lo fissa al suolo, 250 mantenendo gli occhi attenti. Non commuove il re la porpora dipinta né lo commuovono gli scettri di Priamo tanto quanto siferma sulle nozze ed il matrimonio della figli, ed agita nel cuore l'oracolo del vecchio Fauno: dai fati era questo quel genero predetto, partito 255 da lontana sede e da pari auspici era chiamato al regno, per lui sarebbe stata la stirpe illustre per coraggio e con potenza occuperebbe tutto il mondo. Finalmente lieto disse: " Gli dei assecondino i nostri inizi ed la loro profezia. Sarà concesso, Troiano, quel che desideri: 260 non disprezzo i doni: sotto il re Latino non vi mancherà la fertile opulenza di ricco terreno o di Troia. Ora lo stesso Enea, se ha tanto desiderio di noi, se s'affretta ad unirsi in ospitalità e chiamarsi alleato, venga, né abbia paura di volti amici: 265 per me sarà una parte di pace aver toccato la destra d'un sovrano. Voi di rimando riferite al re ora i miei impegni: io ho una figlia, che per oracolo paterno le sorti e molti prodigi dal cielo non permettono maritare ad un uomo della nostra razza; rivelano che i generi si presenteranno 270 da terre straniere, per portare conla stirpe il nostro nome alle stelle, che questo si riserva per il Lazio. Che questo tale chiedano i fati, lo penso e, se un che di vero presagisce il cuore, lo voglio". Detto questo il padre sceglie i cavalli da tutto il gruppo (trecento splendidi stavano in ampie stalle;) 275 Ordina che subito sian portati a tutti i Teucri in ordine, i veloci cavalli coperti di porpora e ricamati drappi, dorati collari appesi pindono dai petti, coperti d'oro mordono sotto i denti rosso oro, per Enea assente un cocchio e gemelli cavalli aggiogati 280 di sangue etereo, spiranti fuoco dalle narici, dalla razza di quelli che l'ingegnosa Circe, rubatili al padre, aveva creato bastardi da madre accoppiata. Con tali doni e parole di Latino gli Eneadi, alti sui cavalli ritornano e riportano la pace. 285
GIUNONE ED ALLETTO (7.286-340) Ecco però la crudele moglie di Giove ritornava dall'inachia Argo e , portata, teneva il cielo, e dall'etere vide lontano, fin dal siculo Pachino Enea lieto e la flotta Dardania. Vede che già fondano case, già si affidan alla terra, 290 hanno abbandonate le navi: si fermò colpita da acuto dolore. Poi scotendo il capo versò dal petto queste parole: "Ahi, stirpe odiata e destini dei Frigi contrari ai nostri. Forse poterono cadere sulle piane sigee, forse che catturati esser presi? Forse che Troia incendiata 295 bruciò gli uomini? In mezzo alle schere ed in mezzo ai fuochi trovaron la via. Ma, credo, le mie potenze alla fine stanche giacciono, o sazia di odio mi quietai. Anzi osai seguirli nemica cacciati dalla patria per le onde ed oppori ai profughi con tutto il mare 300 Consumate furono le forze del cielo e del mare contro i Teucri. A che mi servì la Sirte o Scilla, a che la vasta Cariddi? Sicuri si nascondono nell'alveo desiderato del Tevere e del mio mare. Marte potè rovinare la sellvaggia stirpe dei Lapiti, lo stesso padre degli dei concesse 305 l'antica Calidone alle ire di Diana, essendo colpevole Calidone o i Lapiti quale sì grave delitto? Ma io, grande consorte di Giove, che sventurata nulla potei lasciare non osato, che mi rivolsi ad ogni cosa, son vinta da Enea. Che se le mie potenze non sono abbastanza 310 grandi, non dubiterei certo di chiedere uno dovunque sia; se non posso piegare i celesti, muoverò l'Acheronte. Non si concederà, e sia1, bloccare i regni latini, e inamovibile per i fati resta Lavinia come moglie: ma si può tirare ed aggiungere indugi a cose sì grandi, 315 ma si può disgiungere i popoli dei due re. A questo prezzo dei loro s'uniscano genero e suocero: avrai in dote sangue troiano e rutulo, ragazza, Bellona ti resta pronuba. Neppure solo Cisseide pregna tanto di fiamma partorì fuochi nuziali 320 anzi lo stesso suo partorito, altro Paride, per Venere e funeste siano di nuovo le fiaccole (nuziali) per Pergamo rediviva. Come espresse queste parole, spaventosa si diresse a terra; chiama dalle tenebre infernali, la sede delle dee crudeli, la luttuosa Alletto, cui stanno acuore le tristi guerre, 325 le ire, le insidie ed i delitti colpevoli. Lo stesso padre Plutone odia il mostro, l'odiano le sorelle tartaree: si trasforma in tante facce, Volti così crudeli, nera pullula di tanti serpenti. E Giunone la spronò con queste parole e così dice: 330 "Ora dammi, ragazza figlia della Notte, la tua speciale attività, questo lavoro, perché il nostro onore o la fama infranta si rtiri dala paese, né con matrimoni gli Eneadi possano circuire Latino ed occupare i territori italici. Tu puoi armare fratelli concordi per gli scontri 335 e con gli odi rovinare le case, tu puoi dar colpi e funerre fiamme ai tetti, tu hai mille pretesti, mille capacità di nuocere. Scuoti il fecondo petto, spezza la pace pattuita, semina delitti di guerra; la gioventù voglia e chieda le armi ed insieme le prenda".
ALLETTO E' INVIATA SULLA TERRA (7.341-372) Quindi Alletto infetta di veleni gorgonei dapprima si reca nel Lazio ed agli alti palazzi del sovrano di Laurento, occupò a silenziosa soglia di Amata, che per l'arrivo dei Teucri e le nozze di Turno gli affanni e le ire femminili, ardente la bruciavano. 345 A le la dea le getta dai capelli azzurri una serpe, e si nasconde in seno nell'intimità del cuore, e con quel mostro furibonda sconvolga tutta la casa. Ella tra le vesti e i leggeri petti scivolando si gira senza alcun contatto, e soffiando inganna la furente 350 anima viperina; l'enorme serpente diventa un'aurea collana al collo, diventa in nastro di lunga benda e lega le chiome ed erra mobile erra tra le membra. E mentre il primo contagio scivolando con umido veleno tenta i sensi ed infonde fuoco alle ossa 355 né ancora la mente percepisce la fiamma in tutto il petto, più dolcemente e col solito modo delle madri parlò, piangendo molto sulle nozze frigie della figlia: "O genitore, forse che Lavina e data da sposare ai Teucri, e non hai pietà della figlia e di te? 360 Non ha pietà della madre, che, strappata la ragazza, al primo Aquilone un perfido predone abbandonerà, dirigendosi al largo? Ma non così il pastore frigio era penetrato in Lacedemone, e si portò Elena ledea alle città troiane? A chela tua santa leltà? A che l'antico affanno dei tuoi 365 e la destra tante volte data al parente Turno? Se si cerca un genero per i Latini da gente straniera, e ciò è deciso, e ti spingono gliordini del padre Fauno, io credo straniera ogni terra, che libera dai nostri scettri è separata e che così dicon gli dei. 370 E per Turno, se si cerchi la prima origine del casato, (furono) padri Inaco e Acrisio e la centrale Micene".
LA REGINA AMATA, ACCESA DA PAZZIA (7.373-403) Come vede, accorgendosene, di contrastare invano Latino, ed il male delle furie del serpente completamente sceso nelle viscere la pervade tutta, 375 alorra veramente la sventurata eccitata da enormi mostri senza ordine impazza invasata per l'immensa città. Come quando volteggiando sotto la frusta vibrata, una trottola, che i ragazzi in gran cerchio intorno agli ampi atrii spingono, intenti al gioco - ella spinta dal colpo si gira 380 per gli spazi curvi; sopra si stupisce la schiera ignara e piccola ammirando il volubile bosso; le sferzate danno forze:non minore di quella corsa è spinta in mezzo alla città ed ai popoli fieri. Anzi, simulata la potenza di Bacco, vola nei boschi 385 tentando un sacrilegio maggiore ed iniziando una maggiore Pazzia e nascondela figlia in frondosi monti, per strappare le nozze ai Teucri e frenare le fiaccole (nuziali), fremente: Evoè, Bacco, gridando che tu solo sei degno della ragazza: che per te prendeva i teneri tirsi, 390 celebrava te con la danza, che per te coltivava la sacra chioma. La fama vola, e lo stesso ardore spinge le madri accese dalle furie a cercare nuovi strani rifugi. Abbandonarono le case, danno colli e chiome ai venti; Alcune poi riempiono l'etere di ululati frementi 395 cinte di pelli portano lance di pampini. Lei in mezzo infuriata tiene un pino ardente e canta gli imenei della figlia e di Turno lanciando uno sguarbo di sanguee improvvisamente in modo torvo grida: Ehi, madri latine, udite, dovunque siate: 400 se un sentimento resta negli animi pii per l'infelice Amata, se l'affanno del diritto materno vi tormenta, sciogliete le bende dei capelli, iniziate i riti con me.
TURNO E' SPINTO ALLA GUERRA (7.404-474) Tale tra le selve, tar i deserti delle fiere Alletto spinge la regina dovunque con gli stimoli di Bacco. 405 Dopo che parve alla dea d'aver abbastanza istigato i primi furori e di aver sconvolto il piano e tutta la casa di Latino, presto di qui, la trista, si alza con le fosche ali fino alle mura dell'audace Rutulo, si dice che tale città la fondò Danae con i coloni acrisei, portata 410 dal veloce Noto. Il luogo un tempo fudetto Ardea dagli avi, ed ora rimane il grande nome di Ardea, ma lo splendore fu. Qui Turno negli alti palazzi ormai nella nera notte godeva la piena quiete. Alletto svestì il torvo aspetto e le membra da furia 415, se trasforma in sembianze di vecchia ed ara la fronte funesta, indossò bianchi capelli con bende, poi intreccia un ramo d'olivo; diventa Calibe, vecchia sacerdotessa del tempio di Giunone, e si presenta al giovane davanti agli occhi con queste frasi: "Turno, permettera che tante fatiche sian profuse in vano, ed i tuoi scettri siano lasciati a coloni Dardani? Il re ti rifiuta il matrimonio e le doti cieste col sangue, per il regno si cerca un lontanissimo erede. Va' ora, opponiti agli ingrati pericoli, o deriso, 425 va', abbatti le schiere tirrene, proteggi di pace i Latini. A tal punto la stessa l'onnipotente saturnia ordinò, mentre giacevi nella placida notte, che io ate parlassi chiaramente. Perciò su e lieto procura che la gioventù si armi e si muova dai porti alle armi e brucia i capi frigi, che si son fermati 430 al bel fiume, e (brucia) le carene dipinte. La grande forza dei celesti lo ordina. Lo stesso re Latino, se non dichiara di concedere le nozze ed obbedire alla parola, capisca e finalmente esperimenti Turno in armi." Ma il govane deridendo l'indovina così di rimando risponde 435 con la frase : "La notizia d'una flocca arrrivata all'onda de Tevere, non sfugge alle mie orecchie, come pensi; Non mi creare s' grandi paure. Neppure la regale Giunone è dimentica di noi. Ma una vecchiaia vinta dalla ruggine ed incapace del vero, 440 o madre, invano ti tormenta di affanni ed inganna la profetessa nellla paura tra armi di re. Tuo affanno (sia) curare le immagini ed i templi degli dei. Gli uomini faranno guerre e pace, loro devon fare le guerre." A tali parole Alletto arde di ira. 445 Ma improvviso tremore occupa le membra al giovane che parla si sbarrarono gli occhi: l'Erinni sibila con tante idri sì grande aspetto si mostra; allora lanciando lucci di fiamma lo bloccò mentre esitava e cercava di dire di più e drizzò sulle chiome due serpi, 450 le schioccò come fruste e con rabbiosa bocca aggiunse questo: "Eccomi, quella che una vecchiaia vinta dalla ruggine, incapace del vero inganna nellla paura tra armi di re. Guarda a questo: mi presento dalle sede delle crudeli sorelle, con la mano porto guerre e morte." 455 Cosi dicendo gettò un tizzone al giovane e conficcò con nero bagliore fiaccole fumanti sotto il cuore. Un'immensa paura gli rompe il sonno, un sudore sgorgato da tutto il corpo pervade le ossa e le membra. Pazzo chiede armi, ricerca armi nel letto e nella casa; 460 l'amore del ferro furoreggia e la scellerata pazzia di guerra, l'ira in più: come quando con grande strepito la fiamma di rami è gettata sotto i fianchi caldaie di traboccante caldaia i liquidi ribollono per il calore, dentro s'infuria il torrente fumoso di acqua e in altro trabocca di spume, 465 né più l'onda si tiene, e nero vapore vola nell'aria. Dunque ordina ai primi dei giovani una marcia, insozzata la pace, contro il re Latino e comanda di preparare le armi, di difendere l'Italia, di cacciare il nemico dai confini; lui arriva a sufficienza per entrambi e Teucri e Latini. 470 Come diede questi ordini ed invocò in aiuto gli dei, a gara i Rutuli si esortano alle armi. Questo lo muove una illustre fama di gloria e di giovinezza, quest'altro antenati re, questo una destra di famose imprese.
IL CERVO DI SILVIA ED IL PRIMO SCONTRO (7.475-539) Mentre Turno riempie i Rutuli di audace coraggio, 475 Alletto con le ali stigie si lancia contro i Teucri, con nuova arte, osservato il luogo, dove il bello Iulo sul lido cacciava le fiere con trappole e corsa. Qui la vergine di Cocito inietta ai cani una rabbia improvvisa e tocca le narico con un noto odore, 480 perché furiosi inseguano un cervo; e questa fu la prima causa dei travagli ed accese di guerra rustici animi. Era un cervo stupendo per la superiore bellezza e le corna, strappato dalla mammella della madre, lo nutrivano i ragazzi di Tirro ed il padre Tirro, cui obbediscono gli armenti del re e la sorveglianza affidata della piana per largo tratto. 486 Avvezzo agli ordini, con ogni cura la sorella Silvia intrecciandole di tenere corone ornava le corna, pettinava la bestia e lo lavava alla pura fonte. Egli sopportando la mano e abitiato alla mensa padronale errava nelle selve e di nuovo alle note soglie lui stesso si recava a casa anche a notte tarda. 490 Lui che errava lontano le rabbiose cagne di Iulo lo stanarono, quando per caso scendeva lungo il fiume e sulla riva verdeggiante alleviava l'arsura. 495 Lo stesso Ascanio, anche acceso dall'amore di grande lode vibrò frecce coll'arco ricurvo; né un dio mancò alla destra errante, lanciata con gran strepito la freccia giunse al ventre ed ai fianchi.il Ferito però il quadrupede si rifugiò dentro i tetti noti 500 e gemendo si ritiro nelle stalle, sanguinante lamento e simile ad uno che implora riempiva tutta la casa. Silvia, la sorella, per prima percossasi le braccia con le mani chiede aiuto e chiama i duri lavoratori. Essi (la dura peste si nasconde nei taciti boschi) 505 improvvisi di presentano, questi armato di robusto tizzone, questi di bastone pesante con nodi; quello che fu trovato da ognuno che cercava, l'ra lo fa arma. Tirro chiama le squadre, perché casualmente spaccava una quercia in quattro, piantati i cunei, ansimante bestialmente, presa la scure. 510 Ma la crudele dea dall'alto raggiunto il momento di nuocere raggiunge gli elevati tetti d'una capanna e dalla sommità della cima intona il segnale dei pastori e col corno ricurvo tende la voce tartarea, a cui subito tutto il bosco tremò e le profonde selve risuonarono; 515 sentì pure lontano il lago di Trivia, udì il fiume Nera, bianco di acqua solforosa e le fonti del velino, e le madri trepidanti strinsero i figli al petto. Allora davvero veloci al richiamo, con cui la tromba crudele diede il segnale, strappate da ogni parte le armi, 520 gli indomiti agricoltori, ed anche la gioventù troiana aperti gli accampamenti riversa aiuto ad Ascanio. Le schiere si disposero. Non si lotta più con scontro rustico con duri bastoni o pali in punta bruciati, ma lottano col ferro a due tagli e attorno una messe nera 525 di spade sguainate si drizza, i bronzi rifulgono provocati dal sole e lanciano il bagliore sotto le nubi: come un flutto quando al primo vento comincia a biancheggiare a poco apoco il mare si alza e più in alto drizza le onde, poi dal più profondo sussulta fino al cielo. 530 Allora un giovane davanti alla prima schieera è steso da stridente freccia, Almo, che fu il maggiore dei figli di Tirro; la ferita si aprì sotto la gola e bloccò la via dell'umida voce e col sangue la vita leggera. Attorno molti corpi di uomini e l'anziano Galeso, 535 mentre si offre in mezzo per la pace, che fu unico, giustissimo ed un tempo ricchissimo di campi ausonii: gli ritornavano cinque greggi di belanti, cinque armenti e girava la terra con cento aratri.
L'IRA SAZIATA DI GIUNONE (7.540-571) E mentre nelle pianure si agisce così con Marte equo, 540 la dea potente della promessa compiuta, poiché bagnò di sangue la guerra e compì lemorti della prima battaglia, abbandona l'Esperia e alzatasi sull'aria del cielo vincitricce si rivolge a Giunone con voce superba: "Eccoti, la discordia compiuta con la triste guerra; 545 di' che si alleino in amicizia e congiungano patti. Dal momento che bagnai i Teucri di sangue ausonio, anche questo ad essi aggiungerò, se il tuo volere mi è certo: porterò alle guerre le città vicine con chiacchiere, accenderò gli animi dell'amore del pazzo Marte 550 perché vengano in aiuto da ogni parte; spargero armi per i campi." Allora Giunone in risposta: "C'è abbondanza di paure ed inganno: le cause di guerra son lì, si combatte corpo a corpo con le armi, che la sorte ha dato per prime, nuovo sangue bagna le armi. Celebrino tali unioni e tali imenei 555 l'iilustre stirpe di Venere e lo stesso re Latino. Che tu troppo liberamente vagassi nell'aria il gran padre non lo vorrebbe, il re del sommo Olimpo,. Ritirati dai luoghi. Io, se c'è qualche fortuna poi sugli eventi, io comanderò." La Saturnia aveva risposto tali frasi; 560 Ella poi alza le ali stridenti di serpi esi volge alla dese di Cocito lasciando in alto i cieli. C'è un luogo in mezzo all'Italia sotto gli alti monti, famoso e ricordato in molti posti, la valle d'Ansanto; un lato boscoso da ogni parte 565 lo preme di dense fronde, e nel mezzo un torrente fragoroso di sassi e tortuoso vortice dà un rimbombo. Qui una paurosa caverna e spiragli del crudele Dite si aprono, e rotto l'Acheronte, un'enorme voragine apre le fauci pestifere, in cui l'Erinni nascosta, 570 odiata potenza, liberava cielo e terre.
L'IMPERTURBABILE RE LATINO (7.572-600) Nondimeno intanto la regina Saturnia impone l'ultima mano alla guerra. Dalla battaglia tutta la schiera di pastori irrompe in città, riportano il giovane Almone ed il volto di Galeso imbrattato, 575 implorano gli dei e supplicano Latino. Turno è presente e nel mezzo dell'accusa di strage e nel fuoco raddoppia il terrore: che si chiamani i Teucri al potere, che ci si mescola alla stirpe frigia, che lui è cacciato di casa. Allora quelli, le cui madri attirate da Bacco danzano coi tiasi 580 negli impervi boschi (e non è piccolo il nome di Amata) da ogni parte radunati s'uniscono ed invocano Marte. Subito tutti contro gli auspici chiedono la guerra nefanda, contro i fati degli dei con perversa volontà. A gara assediano i palazzi del re Latino; 585 egli resiste come una rupe immobile nel mare, come una rupe di mare quando giunge un grande uragano, che si tiene alla sua mole mentre attorno latrano molte onde; invano gli scogli attorno e le rocce spumose fremono e l'alga sbattuta si spande sul fianco. 590 Ma quando non è data nessuna possibilità di vincere il cieco progetto, e le cose vanno al cenno della crudele Giunone, invocati molto gli dei ed il cielo vuoto "Ahimè, disse, siamo spezzati dai fati e colpito dalla tempesta. Voi stessi pagherete il fio per il sangue sacrilego, 595 o miseri. Te, Turno, terribile ( a dirsi), te un triste supplizio attenderà, onorerai gli dei con voti tardi. Mi è partorita la pace, alla sogli del porto finale mi spoglio di morte felice." Né parlando di più si sbarrò nel palazzo e lasciò le redini delle cose. 600
LE PORTE DELLA GUERRA (7.601-622) C'era tradizione nel Lazio esperio, che subito le città albane conservarono sacra, ora Roma, la massima, la conserva, quando muovono Marte ai primi scontri, sia preparino a portare la lacrimevole guerra ai Geti o agli Ircani o agli Arabi, sia dirigersi agli Indi 605 e seguire l'Aurora o riprendere le bandiere ai Parti: le porte della Guerra sono due, così le chiaman di nome, sacre per culto e per terrore del crudele Marte; le chiudono cento sbarre di bronzo ed eterni potenze di ferro, né Giano, il custode, s'assenta dalla soglia. 610 Queste, quando una sicuraa decisione di guerra è decisa dai senatori, lo stesso console apre le stridenti soglie insignito della trabea di Quirino e del cinto di Gabi, egli chiama gli scontri; segue poi il resto della gioventù, e le bronzee corna di bronzo risuonano di rauco consenso. 615 Con questo anche allora si comandava che Latino dichiarasse guerra agli Eneadi secondo il costume ed aprire le tristi porte. Il padre si astenne dal contatto e contrario rifuggì i sozzi ministeri e si nascose in cieche ombre. Allora scesa dal cielo la regina degli dei spinse lei stessa 620 con la mano le porte esitanti e infranto il cardine la Saturnia rompe i ferrei battenti della Guerra.
IL LAZIO E' ARMATO (7.623-640) Arde l'Ausonia, prima pacifica ed immobile; parte prepara i piedi ad andare nelle piane, parte sugli alti cavalli freme dritto impolverato; tutti ricercano le armi. 625 Parte tergono i leggeri scudi e le lucide frecce di grasso oleoso e sulla cote affilano le scuri; piace portare le insegne ed udire i suoni di trombe. Così cinque grandi città, approntate le incudini, rinnovano armi, la potente Atina, Tivoli superba, 630 Ardea, Crustumeri ed Antenna turrita. Scavano coperture sicure delle teste piegano graticci di salice degli umboni; altri ricavano corazze di bronzo o leggeri gambieri dal duttile argento; allora cessa l'onore del vomere e della falce, allora 635 l'amor dell'aratro; rifondono spade paterne nelle fornaci. Ormai risuonano le trombe, la parola d'ordine, segnale di guerra va; questi trepido strappa l'elmo dalle case, quello spinge i cavalli frementi ai gioghi, lo scudo e la corazza di tre fili d'oro si veste e si cinge della fedele spada. 640
GLI ARMATI D'ITALIA (7.641-802) Aprite adesso, dee, l'Elicona e muovete i cnti, quali re chiamati alla guerra, quali schiere, seguendo ognuno, abbian riempito le piane, di quali uomini già allora l'Italia, alma terra, fosse fiorente, di quali armi sia arsa; certo ricordate, divine, e potete raccontare; 645 a noi a stento scivola un leggero soffio di fama. Per primo entra in guerra dai lidi tirreni l'aspro Mezenzio, di sprezzator degli dei, ed arma schiere. Vicino a lui il figlio Lauso, di cui non ci fu un altro più bello eccetto il corpo di Turno di Laurento; 650 Lauso, domator di cavalli e sterminatore di fiere, guida dalla città di Agilla mille uomini, che l'han seguito invano, degno di esser più fortunato nei regni paterni e che non gli fosse padre Mezenzio. Dopo questi ostenta sul prato un cocchio insignito 655 di palma e cavalli vincitori nato da Ercole bello il bell'Aventino, e porta sullo scudo l'insegna paterna, cento serpi e l'Idra cinta di serpenti; lo nella selva del colle Aventino la sacerdotessa Rea, furtivo lo diede col parto alle zone della luce, 660 donna unitasi al dio, dopo che il Tirinzio vincitore, ucciso Gerione, toccò i campi di Laurento, e lavò le vacche ibere nel fiume tirreno. Portano per la guerra in mano lance e terribili bastoni, e lottano con pugnale ben fatto e spiedo sabello. 665 Egli a piedi, avvolgendo una enorme pelle di leone, scarmigliata, con la terribile criniera (e) i denti bianchi indossandola sul capo, così s'avvicinava al palazzo reale, spaventoso e coperto le spalle di mantello erculeo. Poi due fratelli lasciano le mura di Tivoli, 670 popolo chiamato dal nome del fratello Tiburte, Catillo ed il forte Cora, gioventù argiva, E si portano in prima fila tra le dense frecce: Come quando scendono dall'alta cima del monte i due Centauri nati da nubi, lasciando l'Omole e l'Otri 675 rivale con rapida corsa; la immensa salva dà il posto a loro che passano e i virgulti cedono con grande fragore. Né mancò il fondatore della città di Preneste, chè ogni epoca credette un re generato da Vulcano tra le mandrie agresti e trovato nei fuochi, 680 Ceculo. Lo accompagna in gran numero una legione agreste: quegli uomini che abutano l'alta Preneste, quelli che ( abitano) i campi di Giunone Gabina ed il gelido Aniene e le rocce Erniche irrorate di ruscelli, quelli che (tu) ricca Anagni nutri e (tu) padre Amaseno. Non a tutti quelli risuonano 685 armi, scudi o cocchi; la massima parte sparge ghiande di livido piombo, parte porta in mano due due lance, ehd hanno come protezione sul capo caschi rossi di pelle di lupo; fecero orme nude del piede sinistro, cuoio rozzo copre le altre. 690 Ma Messapo, domator di cavalli, prole nettunia, che a nessuno è lecito stendere né col fuoco né col ferro, chiama alle armi popoli già da tempo pigri e schiere disabituate alla guerra e subito riprende il ferro. Questi hanno le schiere fescennine e gli Equi Falisci, 695 questi le rocche del Soratte ed i campi flavini e il lago con il monte del Cimino ed i boschi Capeni. Procedevano uguali di numero ed inneggiavano al re: come allora quando i nivei cigni tra le limpide nubi ritornano dal pasto e danno coi lunghi colli 700 ritmi caanori, ne risuona il fiume e lontano l'asia palude ne è colpita. Nessuno crederebbe che in tanto sciame si aggirino schiere armate, ma che dall'alto gorgo una aerea nube di rauchi uccelli s'affretti ai lidi. 705 Ecco Clauso dell'antica stirpe dei Sabini, che guida un grande esercito e lui stesso come un grande esercito, da cui adesso si diffonde nel Lazio sia la tribù che la gente Claudia, dopo che Roma fu data in parte ai Sabini.. Unica ingente la coorte Amiterna e gli antichi Quiriti, 710 tutto il manipolo di Ereto e Matusca, produttrice d'olivi; Quelli che abitano la città di Nomento, quelli che (abitan) i campi di Rose del Velino, ed le irte rupi di Tetrica ed il monte Severo, Casperia, Foruli ed il fiume dell'Imella, quelli che bevon il Tevere ed il Fabari, quelli che inviò 715 la fredda Norcia, le flotte di Orte ed i popoli latini, quelli che taglaindo dvide l'Allia, nome unfausto: quanto numerosi flutti si muovono nel mare libico quando il crudele Orione si nasconde nelle onde d'inverno, o quando al nuovo sole le dense spighe si arroventano 720 o nella piana di Ermo o nei campi biondeggianti di Licia. Suonano scudi ed al colpo di piedi la terra è atterrita. Di qui l'agamennonio Aleso, nemico del nome troiano, unisce al cocchio i cavalli e strappa per Turno mille popoli fieri, quelli che voltano coi rastrelli Il Massico, 725 ricco di Bacco, quelli che i padri Aurunci mandarono dagli alti colli e le pianure Sidicine vicino, quelli che lasciano Cale e l'abitante del guadoso Volturno, ugualmente l'aspro Saticolo e le schiere degli Osci. Essi hanno per armi frecce ben 730 fatte, ma hanno l'usanza di legarle ad una flessuosa correggia. Lo scudo di cuoio copre le sinistre, spade falcate in duello. Né tu te ne andrai ignorato dai nostri canti, Ebalo, che , si dice, Telone generò dalla ninfa Sebetide Quando teneva Capri, regno dei Teleboi, 735 ormai vecchio; ma il figlio non contento dei campi paterni già allora soggiogava col potere in largo i popoli serrasti e le pianure che il Sarno bagna, quelli che tengono Rufra e Batulo ed i campi di Celenna, e quelli che le mura di Abella, produttrice di mele, guardano, 740 soliti, per pratica teutonica, a vibrare armi da lancio; essi hanno come copricapo corteccia tolta dal sughero, le lance brillano dorate, brilla la spada d'oro. Anche te la montuosa Nersa mandò in battaglia, Ufente, illustre per fama e per le armi fortunate, 745 e tu (avevi) un popolo particolarmente aspro ed abituato alla grande caccia dei boschi, gli Aquicoli dalle dure zolle. Lavorano la terra armati e (loro) piace raccogliere sempre nuove prede e vivere di furto. Inoltre viene un sacerdote della stirpe Marruvia 750 ornato sull'elmo di fronda e di fecondo olivo per incarico del re Archippo, il fortissimo Umbrone, egli soleva col canto e con la mano infondere i sonni alla razza delle vipere ed alle idre che esalano pesantemente, (ne) addolciva le ire e con arte curava i morsi. 755 Ma non riuscì a medicare il colpo della punta dardania e non gli giovarono per le ferite i cannti sonniferi e le erbe cercate sui monti dei Marsi. Ti piansero il bosco di Angizia, te, il Fucino dall'onda vitrea, te i limpidi laghi. 760 Avanzava pure la prole di Ippolito, bellissima in guerra, Virbio, che illustre la madre inviò, allevato nei boschi di Egeria attorno agli umidi lidi, dove ( c'è) il ricco e venerabile altare di Diana. Dicono per fama che Ippolito, dopo che cadde per l'astuzia 765 della matrigna e pagò col sangue il fio al padre, straziato dai cavalli spaventati, e di nuovo giunse allle stelle celesti ed alle alte zone del cielo, richiamato dalle erbe peonie e dall'amore di Diana. Allora il padre onnipotente sdegnato che un mortale 770 dalle ombre infernali risorgesse alle luci della vita, lui stesso con un fulmine scagliò nelle onde stigie il figlio di Febo, lo scopritore di tale medicina e dell'arte. Ma la grande Trivia nascose in sedi segrete Ippolito e lolega al bosco ed alla ninfa Egeria, 775 dove solo ignoto in selve italiche trascorresse la vita e dove fosse, cambiato nome, Virbio. Perciò i cavalli, dal duro piede, sono allontanati dal tempio di Trivia e dai bosci consacrati, perché impauriti da mostri marini, rovesciarono il cocchio ed il giovane sul lido. 780 Nondimeno il figlio montava i cavalli ardenti nella distesa della pianura e col cocchio si lanciava alla guerra. Lo stesso Turno dal corpo potente si porta tra i primi tenedo le armi e con tutta la testa sta al di sopra. Egli (ha ) un alto elmo chiomato con triplice cresta 785 sostiene una Chimera che esala dalle fauci fuochi etnei; tanto più ella fremente e feroce di tristi fiamme quanto più le battaglie incrudeliscono di sangue versato. Ma Io, già coperta di peli, già vacca, con le corna alzate, fregiava il lucido scudo d'oro, 790 (straordinario soggetto) ed Argo, custode della ragazza, ed il padre Inaco che versa un fiume dall'urna sbalzata. Lo segue una nube di fanti e le schiere dotate di scudi si addensano su tutte le piane, la gioventù Argiva, i manipoli aurunci, i Rutuli, gli antichi Sicani, 795 gli eserciti sicani ed i Libici con scudi dipinti. quelli che arano i tuoi gioghi, Tevere, ed il sacro lido del Numico e che lavorano col vomere i colli rutuli ed il giogo circeo, quelli i cui campi protegge Giove Anxuro e la Feronia feconda di verde bosco; 800 dove la nera palude di Satura ristagna ed il gelido Ufente cerca il corso attraverso la profondità delle valli e si nasconde nel mare.
LA VERGINE CAMILLA (7.803-817) Dopo questi giunse Camilla di stirpe volsca guidando una schiera di cavalieri e squadre brillanti di bronzo, guerriera, lei non avvezza alla conocchia ed ai cestelli di Minerva 805 con le mani femminee, ma a sopportare da ragazza i duri scontri e con la corsa a piedi superare i venti. Ella volerebbe anche sulle cime degli steli di una messe intatta né avrebbe sfiorato con la corsa la tenere spighe, pure sospesa nel mezzo del mare su flutto rigonfio 810 correrebbe la rotta né bagnerebbe con l'acqua le celeri piante. La ammira tutta la gioventù riversata dalle case e dai campi e la folla delle madri e la contempla mentre avanza, con gli animi attoniti, a bocca aperta, come il regale onore veli le spalle graziose, come la fibbia d'oro intrecci 815 la chioma, come lei porti la faretra licia e, come pastorale, un mirto, con una punta fissatavi sopra.
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