Death Note Plus: Download Volume 13 Ita, Download Death Note Anime Ita

Parafrasi I Sepolcri Ugo Foscolo

« Older   Newer »
  Share  
°Slash
CAT_IMG Posted on 25/1/2010, 18:01     +1   -1




All'ombra de' cipressi e dentro l'urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove piú il Sole

per me alla terra non fecondi questa

bella d'erbe famiglia e d'animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l'ore future,

né da te, dolce amico, udrò piú il verso

e la mesta armonia che lo governa,

né piú nel cor mi parlerà lo spirto

delle vergini Muse e dell'amore,

unico spirto a mia vita raminga,

qual fia ristoro a' dí perduti un sasso

che distingua le mie dalle infinite

ossa che in terra e in mar semina morte?

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

tutte cose l'obblío nella sua notte;

e una forza operosa le affatica

di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe

e l'estreme sembianze e le reliquie

della terra e del ciel traveste il tempo.

Ma perché pria del tempo a sé il mortale

invidierà l'illusïon che spento

pur lo sofferma al limitar di Dite?

Non vive ei forse anche sotterra, quando

gli sarà muta l'armonia del giorno,

se può destarla con soavi cure

nella mente de' suoi? Celeste è questa

corrispondenza d'amorosi sensi,

celeste dote è negli umani; e spesso

per lei si vive con l'amico estinto

e l'estinto con noi, se pia la terra

che lo raccolse infante e lo nutriva,

nel suo grembo materno ultimo asilo

porgendo, sacre le reliquie renda

dall'insultar de' nembi e dal profano

piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

e di fiori odorata arbore amica

le ceneri di molli ombre consoli.

Sol chi non lascia eredità d'affetti

poca gioia ha dell'urna; e se pur mira

dopo l'esequie, errar vede il suo spirto

fra 'l compianto de' templi acherontei,

o ricovrarsi sotto le grandi ale

del perdono d'lddio: ma la sua polve

lascia alle ortiche di deserta gleba

ove né donna innamorata preghi,

né passeggier solingo oda il sospiro

che dal tumulo a noi manda Natura.

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti

contende. E senza tomba giace il tuo

sacerdote, o Talia, che a te cantando

nel suo povero tetto educò un lauro

con lungo amore, e t'appendea corone;

e tu gli ornavi del tuo riso i canti

che il lombardo pungean Sardanapalo,

cui solo è dolce il muggito de' buoi

che dagli antri abdüani e dal Ticino

lo fan d'ozi beato e di vivande.

O bella Musa, ove sei tu? Non sento

spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,

fra queste piante ov'io siedo e sospiro

il mio tetto materno. E tu venivi

e sorridevi a lui sotto quel tiglio

ch'or con dimesse frondi va fremendo

perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio

cui già di calma era cortese e d'ombre.

Forse tu fra plebei tumuli guardi

vagolando, ove dorma il sacro capo

del tuo Parini? A lui non ombre pose

tra le sue mura la città, lasciva

d'evirati cantori allettatrice,

non pietra, non parola; e forse l'ossa

col mozzo capo gl'insanguina il ladro

che lasciò sul patibolo i delitti.

Senti raspar fra le macerie e i bronchi

la derelitta cagna ramingando

su le fosse e famelica ululando;

e uscir del teschio, ove fuggia la luna,

l'úpupa, e svolazzar su per le croci

sparse per la funerëa campagna

e l'immonda accusar col luttüoso

singulto i rai di che son pie le stelle

alle obblïate sepolture. Indarno

sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade

dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti

non sorge fiore, ove non sia d'umane

lodi onorato e d'amoroso pianto.

Dal dí che nozze e tribunali ed are

diero alle umane belve esser pietose

di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi

all'etere maligno ed alle fere

i miserandi avanzi che Natura

con veci eterne a sensi altri destina.

Testimonianza a' fasti eran le tombe,

ed are a' figli; e uscían quindi i responsi

de' domestici Lari, e fu temuto

su la polve degli avi il giuramento:

religïon che con diversi riti

le virtú patrie e la pietà congiunta

tradussero per lungo ordine d'anni.

Non sempre i sassi sepolcrali a' templi

fean pavimento; né agl'incensi avvolto

de' cadaveri il lezzo i supplicanti

contaminò; né le città fur meste

d'effigïati scheletri: le madri

balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono

nude le braccia su l'amato capo

del lor caro lattante onde nol desti

il gemer lungo di persona morta

chiedente la venal prece agli eredi

dal santuario. Ma cipressi e cedri

di puri effluvi i zefiri impregnando

perenne verde protendean su l'urne

per memoria perenne, e prezïosi

vasi accogliean le lagrime votive.

Rapían gli amici una favilla al Sole

a illuminar la sotterranea notte,

perché gli occhi dell'uom cercan morendo

il Sole; e tutti l'ultimo sospiro

mandano i petti alla fuggente luce.

Le fontane versando acque lustrali

amaranti educavano e vïole

su la funebre zolla; e chi sedea

a libar latte o a raccontar sue pene

ai cari estinti, una fragranza intorno

sentía qual d'aura de' beati Elisi.

Pietosa insania che fa cari gli orti

de' suburbani avelli alle britanne

vergini, dove le conduce amore

della perduta madre, ove clementi

pregaro i Geni del ritorno al prode

cne tronca fe' la trïonfata nave

del maggior pino, e si scavò la bara.

Ma ove dorme il furor d'inclite gesta

e sien ministri al vivere civile

l'opulenza e il tremore, inutil pompa

e inaugurate immagini dell'Orco

sorgon cippi e marmorei monumenti.

Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,

decoro e mente al bello italo regno,

nelle adulate reggie ha sepoltura

già vivo, e i stemmi unica laude. A noi

morte apparecchi riposato albergo,

ove una volta la fortuna cessi

dalle vendette, e l'amistà raccolga

non di tesori eredità, ma caldi

sensi e di liberal carme l'esempio.

A egregie cose il forte animo accendono

l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella

e santa fanno al peregrin la terra

che le ricetta. Io quando il monumento

vidi ove posa il corpo di quel grande

che temprando lo scettro a' regnatori

gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela

di che lagrime grondi e di che sangue;

e l'arca di colui che nuovo Olimpo

alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide

sotto l'etereo padiglion rotarsi

piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,

onde all'Anglo che tanta ala vi stese

sgombrò primo le vie del firmamento:

- Te beata, gridai, per le felici

aure pregne di vita, e pe' lavacri

che da' suoi gioghi a te versa Apennino!

Lieta dell'aer tuo veste la Luna

di luce limpidissima i tuoi colli

per vendemmia festanti, e le convalli

popolate di case e d'oliveti

mille di fiori al ciel mandano incensi:

e tu prima, Firenze, udivi il carme

che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco,

e tu i cari parenti e l'idïoma

désti a quel dolce di Calliope labbro

che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

d'un velo candidissimo adornando,

rendea nel grembo a Venere Celeste;

ma piú beata che in un tempio accolte

serbi l'itale glorie, uniche forse

da che le mal vietate Alpi e l'alterna

onnipotenza delle umane sorti

armi e sostanze t' invadeano ed are

e patria e, tranne la memoria, tutto.

Che ove speme di gloria agli animosi

intelletti rifulga ed all'Italia,

quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi

venne spesso Vittorio ad ispirarsi.

Irato a' patrii Numi, errava muto

ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo

desïoso mirando; e poi che nullo

vivente aspetto gli molcea la cura,

qui posava l'austero; e avea sul volto

il pallor della morte e la speranza.

Con questi grandi abita eterno: e l'ossa

fremono amor di patria. Ah sí! da quella

religïosa pace un Nume parla:

e nutria contro a' Persi in Maratona

ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,

la virtú greca e l'ira. Il navigante

che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,

vedea per l'ampia oscurità scintille

balenar d'elmi e di cozzanti brandi,

fumar le pire igneo vapor, corrusche

d'armi ferree vedea larve guerriere

cercar la pugna; e all'orror de' notturni

silenzi si spandea lungo ne' campi

di falangi un tumulto e un suon di tube

e un incalzar di cavalli accorrenti

scalpitanti su gli elmi a' moribondi,

e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

Felice te che il regno ampio de' venti,

Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!

E se il piloto ti drizzò l'antenna

oltre l'isole egèe, d'antichi fatti

certo udisti suonar dell'Ellesponto

i liti, e la marea mugghiar portando

alle prode retèe l'armi d'Achille

sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi

giusta di glorie dispensiera è morte;

né senno astuto né favor di regi

all'Itaco le spoglie ardue serbava,

ché alla poppa raminga le ritolse

l'onda incitata dagl'inferni Dei.

E me che i tempi ed il desio d'onore

fan per diversa gente ir fuggitivo,

me ad evocar gli eroi chiamin le Muse

del mortale pensiero animatrici.

Siedon custodi de' sepolcri, e quando

il tempo con sue fredde ale vi spazza

fin le rovine, le Pimplèe fan lieti

di lor canto i deserti, e l'armonia

vince di mille secoli il silenzio.

Ed oggi nella Troade inseminata

eterno splende a' peregrini un loco,

eterno per la Ninfa a cui fu sposo

Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,

onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta

talami e il regno della giulia gente.

Però che quando Elettra udí la Parca

che lei dalle vitali aure del giorno

chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove

mandò il voto supremo: - E se, diceva,

a te fur care le mie chiome e il viso

e le dolci vigilie, e non mi assente

premio miglior la volontà de' fati,

la morta amica almen guarda dal cielo

onde d'Elettra tua resti la fama. -

Cosí orando moriva. E ne gemea

l'Olimpio: e l'immortal capo accennando

piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,

e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.

Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto

cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne

sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando

da' lor mariti l'imminente fato;

ivi Cassandra, allor che il Nume in petto

le fea parlar di Troia il dí mortale,

venne; e all'ombre cantò carme amoroso,

e guidava i nepoti, e l'amoroso

apprendeva lamento a' giovinetti.

E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo,

ove al Tidíde e di Läerte al figlio

pascerete i cavalli, a voi permetta

ritorno il cielo, invan la patria vostra

cercherete! Le mura, opra di Febo,

sotto le lor reliquie fumeranno.

Ma i Penati di Troia avranno stanza

in queste tombe; ché de' Numi è dono

servar nelle miserie altero nome.

E voi, palme e cipressi che le nuore

piantan di Priamo, e crescerete ahi presto

di vedovili lagrime innaffiati,

proteggete i miei padri: e chi la scure

asterrà pio dalle devote frondi

men si dorrà di consanguinei lutti,

e santamente toccherà l'altare.

Proteggete i miei padri. Un dí vedrete

mendico un cieco errar sotto le vostre

antichissime ombre, e brancolando

penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,

e interrogarle. Gemeranno gli antri

secreti, e tutta narrerà la tomba

Ilio raso due volte e due risorto

splendidamente su le mute vie

per far piú bello l'ultimo trofeo

ai fatati Pelídi. Il sacro vate,

placando quelle afflitte alme col canto,

i prenci argivi eternerà per quante

abbraccia terre il gran padre Oceàno.

E tu onore di pianti, Ettore, avrai,

ove fia santo e lagrimato il sangue

per la patria versato, e finché il Sole

risplenderà su le sciagure umane.

SPOILER (click to view)
Il sonno [eterno] della morte è forse meno

doloroso all’ombra dei cipressi e dentro le

tombe [nei camposanti] consolate dal pianto [dei vivi]?

Quando il sole non fecondi più sulla terra

ai miei occhi per questa bella popolazione di piante e di animali, e quando davanti a me non danzeranno

[non si mostreranno] le ore future, attraenti di belle promesse,

né udirò più [recitare] da te, dolce amico [Pindemonte], i [tuoi] versi

e l’armonia malinconica che li ispira, né più mi parlerà

nel cuore l’interesse nella mia vita

da esule [quando sarò morto],

quale consolazione sarà per i giorni perduti [per la vita finita]

un sasso [la lapide sepolcrale] che distingua

le mie [ossa] dalle infine ossa che la morte sparge in terra e in mare?

È proprio vero Pindemonte! anche la speranza,

ultima dea, fugge le tombe e la dimenticanza circonda tutte le cose nella sua tenebra; e una forza attiva le trasforma incessantemente di movimento in movimento; e il tempo tramuta sia l’uomo sia le sue tombe

sia le ultime tracce sia ciò che è stato risparmiato [provvisoriamente] dalla terra e dal cielo.

Ma perché l’uomo dovrebbe negare prima del tempo a sé

l’illusione che [una volta] morto lo trattiene [gli fa

credere di fermarsi] ancora sulle soglie dell’oltretomba?

Egli [l’uomo da morto] non vive forse anche sotto terra, quando [pure]sarà [divenuta] per lui impercettibile l’attrattiva della vita se può risvegliarla [l’armonia del giorno, cioè la vita perduta] nella mente dei suoi [cari] con nobili preoccupazioni? Questa corrispondenza di sentimenti amorosi è divina, è una dote divina negli uomini; e grazie a essa spesso si vive [ci si illude di vivere] con l’amico morto e il morto [vive] con noi, se la sacra terra che lo ha accolto neonato e lo ha nutrito, offrendo[gli] l’ultimo asilo (albergo-luogo dove dimorare) nel suo grembo materno, renda intoccabili i [suoi] resti dalle offese degli agenti atmosferici e dal piede profanatore degli uomini, e un sasso[la pietra sepolcrale] conservi il nome, e un albero amico profumato di fiori consoli le ceneri[del defunto] con le [sue]ombre gradevoli.

Solamente chi non lascia eredità di affetti [chi muore senza legami affettivi] ha poca gioia nella tomba; e se solo guarda [immagina]

oltre la [propria] sepoltura, vede la propria anima vagabondare in mezzo al dolore dei luoghi infernali, o rifugiarsi sotto

le grandi ali del perdono di Dio: ma lascia i suoi

resti [ceneri] alle ortiche di una terra deserta

dove non prega [nessuna] donna innamorata,

né [alcun] passante solitario ode il sospiro

che la natura manda a noi dalla tomba.

Tuttavia una nuova legge [l’editto di Saint-Cloud]

oggi impone [che] le tombe [siano] fuori dagli sguardi pietosi [fuori dai centri abitati], e nega la fama ai morti.

E giace senza tomba il tuo sacerdote, o Talia,

che poetando per te coltivò con lungo amore un lauro

nella sua povera casa, e ti consacrò molte opere;

e tu abbellivi del tuo sorriso [della tua armonia] le sue

poesie che criticavano i viziosi aristocratici lombardi,

ai quali procura piacere solo il muggito dei buoi

che dalle stalle dell’Adda e dal Ticino

lo rendono beato di ozi e e vivande. Dove sei tu? O bella Musa

fra queste piante dove io siedo e ricordo

con desiderio la mia casa materna non sento

profumare l’ambrosia, indizio della tua divinità. Eppure tu venivi e sorridevi a lui [Parini] sotto quel tiglio che ora con fronde tristi va fremendo, o Dea, perché non copre la tomba del vecchio [Parini] al quale in passato era generosa di pace e di ombra.

Forse tu [Musa] cerchi vagando fra le tombe umili

dove dorma [dove sia sepolta] la sacra

testa del tuo Parini? La città [Milano], immorale,

appassionata di cantanti castrati, non pose

in suo onore alberi tra le sue mura,

né lapidi, né iscrizioni; e forse il ladro che scontò sul patibolo i delitti gli insanguina le ossa con la testa mozzata.

[Tu Musa], senti raspare fra le macerie [i tumuli mortuari]

e gli sterpi la cagna randagia che va errando

sulle fosse e ululando famelica; e [senti, cioè vedi]

l’upupa uscire dal teschio, dove fuggiva la [luce della] luna,

e [la vedi] svolazzare intorno alle croci sparse

per il camposanto e [senti] l’uccello immondo [l’upupa]

rimproverare con il [suo] verso funebre i raggi dei quali

le stelle si mostrano pietose verso le sepolture dimenticate.

O Dea, preghi inutilmente [che] sul tuo poeta [Parini]

[cadano] rugiade dalla notte tetra. Ahi! Sui morti non sorge [nessun] fiore, quando non sia onorato da lodi umane

e da pianto affettuoso.

Dal giorno che nozze e tribunali [giustizia] e altari [religione, cioè la civiltà] spinsero le belve umane [gli uomini primitivi] ad essere pietose verso se stesse e verso gli altri, i viventi sottraevano all’aria malvagia e alle fiere i miseri resti [i corpi dei morti] che la natura destina ad altre forme con incessanti trasformazioni.

Le tombe erano testimonianza delle glorie [familiari],

e altari per i figli [discendenti]; e da esse

uscivano i responsi dei Lari domestici, e il giuramento [fatto]

sulle tombe degli avi fu considerato sacro [e questa fu una]

religione che le virtù civili e il rispetto dei congiunti

tramandarono con riti diversi per lungo susseguirsi di anni.

Non sempre le lapidi sepolcrali fecero [da] pavimento alle chiese; né [sempre] il puzzo dei cadaveri mescolato agli incensi

contaminò i devoti; né le città furono [sempre]

rattristate da scheletri disegnati: le madri

scattano nel sonno terrorizzate, e tendono

le nude braccia sulla testa amata

del loro caro lattante così che non lo svegli

il gemere prolungato di una persona morta

che chiede agli eredi le preghiere a pagamento

[effettuate] dalla chiesa. Ma [anticamente] cipressi e cedri,

riempiendo l’aria di puri profumi, stendevano

sulle tombe il verde perenne [delle loro fronde]

per eterna memoria, e vasi preziosi raccoglievano

le lagrime offerte in voto.

Gli amici [del defunto] rapivano una scintilla al sole [accendevano una lampada] per illuminare la notte sotterranea, perché gli occhi dell’uomo morendo cercano il sole; e tutti i petti [dei moribondi] rivolgono l’ultimo sospiro alla luce fuggente.

Versando acque purificatrici, le fontane facevano

crescere amaranti e viole sul tumulo mortuario;

e chi sedeva [sulle tombe] a versare latte e a

raccontare le sue pene ai cari estinti sentiva intorno

un profumo come dell’aria dei beati Elisi.

[Questa è] un’illusione benefica che rende care

alle giovani inglesi i giardini dei cimiteri attorno alle città,

dove le conduce l’amore della madre perduta [morta],

dove pregarono i Geni di concedere il ritorno

al valoroso che troncò dell’albero maestro

la nave conquistata.

Ma dove [invece] l’eroismo di gesta nobili è spento

e la ricchezza e la vita siano guide alla vita civile,

cippi e monumenti di marmo sorgono [quali] inutile ostentazione

e [quali]funeste immagini dell’oltretomba.

Il popolo intellettuale e quello ricco e quello nobile,

adornamento e guida per il bel regno italico,

ha già la sua tomba da vivo nelle regge oggetto di adulazione,

e [come]unica lode [ha]gli stemmi [nobiliari].

La morte prepari [invece] a me un ricovero sereno

quando un giorno la sorte cessi di perseguitarmi

e gli amici raccolgano non eredità di tesori,

ma sentimenti appassionati e

l’esempio di una poesia libera.

Le tombe dei grandi spingono a nobili imprese

gli animi grandi, o Pindemonte e rendono

al [giudizio del] forestiero bella e santa la terra

che le contiene. Io quando vidi il monumento [la chiesa di S.Croce a Firenze] dove riposa il corpo di quel grande [Machiavelli]

che, temprando lo scettro ai potenti [fingendo di insegnare loro le tecniche del potere], ne sfronda gli allori [la gloria], e svela alle genti di quali lagrime e di quale sangue [di quanto dolore] grondi [il potere]; e la tomba di colui [Michelangelo] che in Roma innalzò agli dei un nuovo Olimpo [la cupola di San Pietro]; e la tomba di colui che [Galileo] vide ruotare vari pianeti sotto la volta celeste, e il sole irraggiarli [stando] immobile, così che aprì per primo le vie del firmamento inglese [:Newton] che [poi] vi avanzò profondamente;

esclamai “beata te” [Firenze], per l’aria felice [e]

piena di vita, per le acque che l’Apennino fa

scorrere verso di te dalle sue montagne!

La luna, lieta della tua aria, ricopre di luce

limpidissima i tuoi colli, festanti per la vendemmia;

e le valli circostanti popolate di case e di oliveti,

mandano verso il cielo mille profumi di fiori.

Tu [Firenze], inoltre, hai udito per prima il poema [la divina commedia] che rallegrò [consolò] l’ira al ghibellino esule [Dante],

e tu hai dato i cari genitori e la lingua a quella dolce

voce di Calliope, che adornando di un velo candidissimo

l’amore, [il quale era] nudo in Grecia e nudo in Roma, [lo] restituì in braccio a Venere celeste;

ma [sei] più beata [ancora, tu] che raccolte

in un’unica chiesa conservi le glorie italiane,

forse le uniche [rimaste] da quando le Alpi

indifese e l’onnipotenza delle alterne

sorti umane ti hanno sottratto le armi

e le ricchezze e tutto [il resto],

tranne la memoria [della passata grandezza].

E spesso Vittorio [Alfieri] venne ad ispirarsi

presso questi marmi [le tombe di Santa Croce].

Irato con il destino della patria, vagava silenzioso

dove l’Arno è più deserto, osservando desideroso i campi

e il cielo; e poiché nessun aspetto vivente gli addolciva l’ansia,

[egli], severo, si fermava qui; e sul volto aveva

il pallore della morte e la speranza.

[Alfieri] abita [è sepolto] in eterni con questi grandi: e le ossa

emanano amore di patria. Ah si! Un Dio parla di quella pace

sacra e ispirò il valore e l’ira dei greci contro

i persiani in Maratona, dove Atene

consacrò le tombe ai suoi prodi. Il navigatore

che navigò a vela quel mare [l’Egeo]

sotto [l’isola] Eubea, vedeva

nella vastità buia balenare scintille di elmi

e di spade che si scontrano, [vedeva]

le pire [per bruciare i cadaveri] fumare vapore di fuoco,

[vedeva] fantasmi di guerrieri lampeggianti di armi

di ferro cercare lo scontro; e nell’orrore dei silenzi notturni

si spargeva nei campi un lungo frastuono di eserciti e un suono di trombe e un [rumore prodotto dall’] incalzare di cavalli che corrono scalpitando sugli elmi dei moribondi, e pianto, ed inni, e il canto della Parche. O Ippolito, felice te, che ai tuoi verdi

anni [nella giovinezza] percorrevi l’ampio regno dei venti!

E se il pilota rivolse la tua nave oltre le isole Egèe, certo

udisti le coste dell’Ellesponto [ri]suonare di antichi fatti, e

[udisti] la corrente rimbombare portando

le armi di Achille alle coste del Capo Reteo

sopra le ossa di Aiace: la morte è giusta

dispensatrice di gloria verso i valorosi;

né l’astuta intelligenza, né il favore dei re

conservavano a Ulisse le difficili spoglie [le armi di Achille],

poiché l’onda incitata dagli dei dell’oltretomba le ritolse

alla nave errabonda.

E le Muse, animatrici del pensiero umano, chiamano me ad

evocare gli eroi [greci], me che i tempi [malvagi] e

il desiderio di onore fanno andare esule fra popolazioni diverse.

Le Muse siedono [quali] custodi dei sepolcri,

e quando il tempo con le sue fredde ali vi distrugge

perfino le rovine, [esse] allietano i deserti

con il loro canto, e l’armonia supera

il silenzio di mille secoli.

E oggi nella Troade desertica splende

eternamente [davanti] ai viaggiatori un luogo

eterno per la ninfa [Elettra] di cui Giove fu sposo

e [che] diede a Giove il figlio Dàrdano,

da cui derivano Troia e Assàraco e i cinquanta

figli sposati [di Priamo] e il regno della popolazione discendente da Iulo [i Romani]. Infatti quando Elettra udì la parca che la chiamava dalle vitali brezze della luce [dalla vita] [per andare] alle danze dell’Eliso [nell’oltretomba], rivolse a Giove l’ultima preghiera: E se – diceva - a te furono cari i miei capelli e il [mio] viso

e le dolci veglie [d’amore], e la volontà del destino

non mi concede premio migliore [della morte],

almeno proteggi dal cielo l’amante morta [la sua tomba],

così che resti memoria della tua Elettra.

Così pregando moriva. E l’Olimpo [Giove] piangeva di ciò;

e la testa immortale [di Giove ] chinandosi

spandeva dai capelli ambrosia sulla ninfa, e

fece sacri quel corpo e la sua tomba. Qui si riposò Erittonio,

e riposano i resti del giusto Ilo; qui le donne troiane

scioglievano i capelli inutilmente – ahi! - pregando

di allontanare l’imminente destino [la morte] dai loro manti;

qui venne Cassandra, quando il dio [Apollo] [entratole]in petto le faceva predire il giorno mortale; e cantò una profezia appassionata ai morti e [vi] guidava i nipoti, e insegnava ai giovanetti il lamento amoroso.

E [Cassandra] diceva sospirando [ai nipoti] “ O se mai

il cielo permetta a voi di ritornare da Argo [dalla Grecia] dove pascerete i cavalli [sarete schiavi] per Diomede e

per il figlio di Laerte [Ulisse], invano cercherete

la vostra patria! Le mura, opera di Apollo,

fumeranno sotto le loro macerie.

Ma i Penati di Troia avranno dimora in queste tombe;

perché è un dono degli dei conservare

un nome elevato [anche] nelle miserie.

E voi palme e cipressi che le nuore

di Priamo piantano, e [che] crescerete presto – ahi!-

innaffiati di lacrime vedovili, proteggete i miei avi:

e chi, pietoso, asterrà la scure dalle fronde sante

si addolorerà meno di lutti di parenti

e toccherà santamente l’altare. Un giorno vedrete

un cieco mendicante [Omero] aggirarsi sotto le vostre

ombre antichissime, e penetrare nei loculi a tentoni,

e abbracciare le urne, e interrogarle.

Le cavità nascoste gemeranno,

e tutte le tombe narreranno di Troia,

distrutta due volte e due risorta

splendidamente sulle vie silenziose

per rendere più bella la vittoria finale

ai figli di Peleo [Achille e Pirro, cioè i greci] mandati dal fato.

Il sacro poeta [Omero], consolando con la poesia

quelle anime afflitte, eternerà i principi greci

per tutte le terre che il gran padre oceano circonda.

E anche tu Ettore, avrai l’onore del pianto

ovunque sarà [considerato] santo e degno di lagrime il sangue

versato per la patria [dovunque vi sarà civiltà], e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane [finché durerà l’uomo].
 
Top
0 replies since 25/1/2010, 18:01   33 views
  Share