All'ombra de' cipressi e dentro l'urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d'erbe famiglia e d'animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l'ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell'amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a' dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe
e l'estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l'illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l'armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de' suoi? Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l'amico estinto
e l'estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall'insultar de' nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d'affetti
poca gioia ha dell'urna; e se pur mira
dopo l'esequie, errar vede il suo spirto
fra 'l compianto de' templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d'lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t'appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de' buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d'ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov'io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch'or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d'ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l'úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l'immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d'umane
lodi onorato e d'amoroso pianto.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi
all'etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a' fasti eran le tombe,
ed are a' figli; e uscían quindi i responsi
de' domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d'anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a' templi
fean pavimento; né agl'incensi avvolto
de' cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d'effigïati scheletri: le madri
balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l'amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l'urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell'uom cercan morendo
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d'aura de' beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de' suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe' la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d'inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l'opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell'Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l'amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l'esempio.
A egregie cose il forte animo accendono
l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a' regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l'arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide
sotto l'etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all'Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
- Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe' lavacri
che da' suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell'aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d'oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l'idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d'un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l'itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l'alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t' invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all'Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a' patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l'austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l'ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a' Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,
la virtú greca e l'ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d'armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a' moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de' venti,
Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l'antenna
oltre l'isole egèe, d'antichi fatti
certo udisti suonar dell'Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l'armi d'Achille
sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all'Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l'onda incitata dagl'inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d'onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de' sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l'armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a' peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de' fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d'Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea
l'Olimpio: e l'immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da' lor mariti l'imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all'ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l'amoroso
apprendeva lamento a' giovinetti.
E dicea sospirando: - Oh se mai d'Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de' Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l'altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l'ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
Il sonno [eterno] della morte è forse meno
doloroso all’ombra dei cipressi e dentro le
tombe [nei camposanti] consolate dal pianto [dei vivi]?
Quando il sole non fecondi più sulla terra
ai miei occhi per questa bella popolazione di piante e di animali, e quando davanti a me non danzeranno
[non si mostreranno] le ore future, attraenti di belle promesse,
né udirò più [recitare] da te, dolce amico [Pindemonte], i [tuoi] versi
e l’armonia malinconica che li ispira, né più mi parlerà
nel cuore l’interesse nella mia vita
da esule [quando sarò morto],
quale consolazione sarà per i giorni perduti [per la vita finita]
un sasso [la lapide sepolcrale] che distingua
le mie [ossa] dalle infine ossa che la morte sparge in terra e in mare?
È proprio vero Pindemonte! anche la speranza,
ultima dea, fugge le tombe e la dimenticanza circonda tutte le cose nella sua tenebra; e una forza attiva le trasforma incessantemente di movimento in movimento; e il tempo tramuta sia l’uomo sia le sue tombe
sia le ultime tracce sia ciò che è stato risparmiato [provvisoriamente] dalla terra e dal cielo.
Ma perché l’uomo dovrebbe negare prima del tempo a sé
l’illusione che [una volta] morto lo trattiene [gli fa
credere di fermarsi] ancora sulle soglie dell’oltretomba?
Egli [l’uomo da morto] non vive forse anche sotto terra, quando [pure]sarà [divenuta] per lui impercettibile l’attrattiva della vita se può risvegliarla [l’armonia del giorno, cioè la vita perduta] nella mente dei suoi [cari] con nobili preoccupazioni? Questa corrispondenza di sentimenti amorosi è divina, è una dote divina negli uomini; e grazie a essa spesso si vive [ci si illude di vivere] con l’amico morto e il morto [vive] con noi, se la sacra terra che lo ha accolto neonato e lo ha nutrito, offrendo[gli] l’ultimo asilo (albergo-luogo dove dimorare) nel suo grembo materno, renda intoccabili i [suoi] resti dalle offese degli agenti atmosferici e dal piede profanatore degli uomini, e un sasso[la pietra sepolcrale] conservi il nome, e un albero amico profumato di fiori consoli le ceneri[del defunto] con le [sue]ombre gradevoli.
Solamente chi non lascia eredità di affetti [chi muore senza legami affettivi] ha poca gioia nella tomba; e se solo guarda [immagina]
oltre la [propria] sepoltura, vede la propria anima vagabondare in mezzo al dolore dei luoghi infernali, o rifugiarsi sotto
le grandi ali del perdono di Dio: ma lascia i suoi
resti [ceneri] alle ortiche di una terra deserta
dove non prega [nessuna] donna innamorata,
né [alcun] passante solitario ode il sospiro
che la natura manda a noi dalla tomba.
Tuttavia una nuova legge [l’editto di Saint-Cloud]
oggi impone [che] le tombe [siano] fuori dagli sguardi pietosi [fuori dai centri abitati], e nega la fama ai morti.
E giace senza tomba il tuo sacerdote, o Talia,
che poetando per te coltivò con lungo amore un lauro
nella sua povera casa, e ti consacrò molte opere;
e tu abbellivi del tuo sorriso [della tua armonia] le sue
poesie che criticavano i viziosi aristocratici lombardi,
ai quali procura piacere solo il muggito dei buoi
che dalle stalle dell’Adda e dal Ticino
lo rendono beato di ozi e e vivande. Dove sei tu? O bella Musa
fra queste piante dove io siedo e ricordo
con desiderio la mia casa materna non sento
profumare l’ambrosia, indizio della tua divinità. Eppure tu venivi e sorridevi a lui [Parini] sotto quel tiglio che ora con fronde tristi va fremendo, o Dea, perché non copre la tomba del vecchio [Parini] al quale in passato era generosa di pace e di ombra.
Forse tu [Musa] cerchi vagando fra le tombe umili
dove dorma [dove sia sepolta] la sacra
testa del tuo Parini? La città [Milano], immorale,
appassionata di cantanti castrati, non pose
in suo onore alberi tra le sue mura,
né lapidi, né iscrizioni; e forse il ladro che scontò sul patibolo i delitti gli insanguina le ossa con la testa mozzata.
[Tu Musa], senti raspare fra le macerie [i tumuli mortuari]
e gli sterpi la cagna randagia che va errando
sulle fosse e ululando famelica; e [senti, cioè vedi]
l’upupa uscire dal teschio, dove fuggiva la [luce della] luna,
e [la vedi] svolazzare intorno alle croci sparse
per il camposanto e [senti] l’uccello immondo [l’upupa]
rimproverare con il [suo] verso funebre i raggi dei quali
le stelle si mostrano pietose verso le sepolture dimenticate.
O Dea, preghi inutilmente [che] sul tuo poeta [Parini]
[cadano] rugiade dalla notte tetra. Ahi! Sui morti non sorge [nessun] fiore, quando non sia onorato da lodi umane
e da pianto affettuoso.
Dal giorno che nozze e tribunali [giustizia] e altari [religione, cioè la civiltà] spinsero le belve umane [gli uomini primitivi] ad essere pietose verso se stesse e verso gli altri, i viventi sottraevano all’aria malvagia e alle fiere i miseri resti [i corpi dei morti] che la natura destina ad altre forme con incessanti trasformazioni.
Le tombe erano testimonianza delle glorie [familiari],
e altari per i figli [discendenti]; e da esse
uscivano i responsi dei Lari domestici, e il giuramento [fatto]
sulle tombe degli avi fu considerato sacro [e questa fu una]
religione che le virtù civili e il rispetto dei congiunti
tramandarono con riti diversi per lungo susseguirsi di anni.
Non sempre le lapidi sepolcrali fecero [da] pavimento alle chiese; né [sempre] il puzzo dei cadaveri mescolato agli incensi
contaminò i devoti; né le città furono [sempre]
rattristate da scheletri disegnati: le madri
scattano nel sonno terrorizzate, e tendono
le nude braccia sulla testa amata
del loro caro lattante così che non lo svegli
il gemere prolungato di una persona morta
che chiede agli eredi le preghiere a pagamento
[effettuate] dalla chiesa. Ma [anticamente] cipressi e cedri,
riempiendo l’aria di puri profumi, stendevano
sulle tombe il verde perenne [delle loro fronde]
per eterna memoria, e vasi preziosi raccoglievano
le lagrime offerte in voto.
Gli amici [del defunto] rapivano una scintilla al sole [accendevano una lampada] per illuminare la notte sotterranea, perché gli occhi dell’uomo morendo cercano il sole; e tutti i petti [dei moribondi] rivolgono l’ultimo sospiro alla luce fuggente.
Versando acque purificatrici, le fontane facevano
crescere amaranti e viole sul tumulo mortuario;
e chi sedeva [sulle tombe] a versare latte e a
raccontare le sue pene ai cari estinti sentiva intorno
un profumo come dell’aria dei beati Elisi.
[Questa è] un’illusione benefica che rende care
alle giovani inglesi i giardini dei cimiteri attorno alle città,
dove le conduce l’amore della madre perduta [morta],
dove pregarono i Geni di concedere il ritorno
al valoroso che troncò dell’albero maestro
la nave conquistata.
Ma dove [invece] l’eroismo di gesta nobili è spento
e la ricchezza e la vita siano guide alla vita civile,
cippi e monumenti di marmo sorgono [quali] inutile ostentazione
e [quali]funeste immagini dell’oltretomba.
Il popolo intellettuale e quello ricco e quello nobile,
adornamento e guida per il bel regno italico,
ha già la sua tomba da vivo nelle regge oggetto di adulazione,
e [come]unica lode [ha]gli stemmi [nobiliari].
La morte prepari [invece] a me un ricovero sereno
quando un giorno la sorte cessi di perseguitarmi
e gli amici raccolgano non eredità di tesori,
ma sentimenti appassionati e
l’esempio di una poesia libera.
Le tombe dei grandi spingono a nobili imprese
gli animi grandi, o Pindemonte e rendono
al [giudizio del] forestiero bella e santa la terra
che le contiene. Io quando vidi il monumento [la chiesa di S.Croce a Firenze] dove riposa il corpo di quel grande [Machiavelli]
che, temprando lo scettro ai potenti [fingendo di insegnare loro le tecniche del potere], ne sfronda gli allori [la gloria], e svela alle genti di quali lagrime e di quale sangue [di quanto dolore] grondi [il potere]; e la tomba di colui [Michelangelo] che in Roma innalzò agli dei un nuovo Olimpo [la cupola di San Pietro]; e la tomba di colui che [Galileo] vide ruotare vari pianeti sotto la volta celeste, e il sole irraggiarli [stando] immobile, così che aprì per primo le vie del firmamento inglese [:Newton] che [poi] vi avanzò profondamente;
esclamai “beata te” [Firenze], per l’aria felice [e]
piena di vita, per le acque che l’Apennino fa
scorrere verso di te dalle sue montagne!
La luna, lieta della tua aria, ricopre di luce
limpidissima i tuoi colli, festanti per la vendemmia;
e le valli circostanti popolate di case e di oliveti,
mandano verso il cielo mille profumi di fiori.
Tu [Firenze], inoltre, hai udito per prima il poema [la divina commedia] che rallegrò [consolò] l’ira al ghibellino esule [Dante],
e tu hai dato i cari genitori e la lingua a quella dolce
voce di Calliope, che adornando di un velo candidissimo
l’amore, [il quale era] nudo in Grecia e nudo in Roma, [lo] restituì in braccio a Venere celeste;
ma [sei] più beata [ancora, tu] che raccolte
in un’unica chiesa conservi le glorie italiane,
forse le uniche [rimaste] da quando le Alpi
indifese e l’onnipotenza delle alterne
sorti umane ti hanno sottratto le armi
e le ricchezze e tutto [il resto],
tranne la memoria [della passata grandezza].
E spesso Vittorio [Alfieri] venne ad ispirarsi
presso questi marmi [le tombe di Santa Croce].
Irato con il destino della patria, vagava silenzioso
dove l’Arno è più deserto, osservando desideroso i campi
e il cielo; e poiché nessun aspetto vivente gli addolciva l’ansia,
[egli], severo, si fermava qui; e sul volto aveva
il pallore della morte e la speranza.
[Alfieri] abita [è sepolto] in eterni con questi grandi: e le ossa
emanano amore di patria. Ah si! Un Dio parla di quella pace
sacra e ispirò il valore e l’ira dei greci contro
i persiani in Maratona, dove Atene
consacrò le tombe ai suoi prodi. Il navigatore
che navigò a vela quel mare [l’Egeo]
sotto [l’isola] Eubea, vedeva
nella vastità buia balenare scintille di elmi
e di spade che si scontrano, [vedeva]
le pire [per bruciare i cadaveri] fumare vapore di fuoco,
[vedeva] fantasmi di guerrieri lampeggianti di armi
di ferro cercare lo scontro; e nell’orrore dei silenzi notturni
si spargeva nei campi un lungo frastuono di eserciti e un suono di trombe e un [rumore prodotto dall’] incalzare di cavalli che corrono scalpitando sugli elmi dei moribondi, e pianto, ed inni, e il canto della Parche. O Ippolito, felice te, che ai tuoi verdi
anni [nella giovinezza] percorrevi l’ampio regno dei venti!
E se il pilota rivolse la tua nave oltre le isole Egèe, certo
udisti le coste dell’Ellesponto [ri]suonare di antichi fatti, e
[udisti] la corrente rimbombare portando
le armi di Achille alle coste del Capo Reteo
sopra le ossa di Aiace: la morte è giusta
dispensatrice di gloria verso i valorosi;
né l’astuta intelligenza, né il favore dei re
conservavano a Ulisse le difficili spoglie [le armi di Achille],
poiché l’onda incitata dagli dei dell’oltretomba le ritolse
alla nave errabonda.
E le Muse, animatrici del pensiero umano, chiamano me ad
evocare gli eroi [greci], me che i tempi [malvagi] e
il desiderio di onore fanno andare esule fra popolazioni diverse.
Le Muse siedono [quali] custodi dei sepolcri,
e quando il tempo con le sue fredde ali vi distrugge
perfino le rovine, [esse] allietano i deserti
con il loro canto, e l’armonia supera
il silenzio di mille secoli.
E oggi nella Troade desertica splende
eternamente [davanti] ai viaggiatori un luogo
eterno per la ninfa [Elettra] di cui Giove fu sposo
e [che] diede a Giove il figlio Dàrdano,
da cui derivano Troia e Assàraco e i cinquanta
figli sposati [di Priamo] e il regno della popolazione discendente da Iulo [i Romani]. Infatti quando Elettra udì la parca che la chiamava dalle vitali brezze della luce [dalla vita] [per andare] alle danze dell’Eliso [nell’oltretomba], rivolse a Giove l’ultima preghiera: E se – diceva - a te furono cari i miei capelli e il [mio] viso
e le dolci veglie [d’amore], e la volontà del destino
non mi concede premio migliore [della morte],
almeno proteggi dal cielo l’amante morta [la sua tomba],
così che resti memoria della tua Elettra.
Così pregando moriva. E l’Olimpo [Giove] piangeva di ciò;
e la testa immortale [di Giove ] chinandosi
spandeva dai capelli ambrosia sulla ninfa, e
fece sacri quel corpo e la sua tomba. Qui si riposò Erittonio,
e riposano i resti del giusto Ilo; qui le donne troiane
scioglievano i capelli inutilmente – ahi! - pregando
di allontanare l’imminente destino [la morte] dai loro manti;
qui venne Cassandra, quando il dio [Apollo] [entratole]in petto le faceva predire il giorno mortale; e cantò una profezia appassionata ai morti e [vi] guidava i nipoti, e insegnava ai giovanetti il lamento amoroso.
E [Cassandra] diceva sospirando [ai nipoti] “ O se mai
il cielo permetta a voi di ritornare da Argo [dalla Grecia] dove pascerete i cavalli [sarete schiavi] per Diomede e
per il figlio di Laerte [Ulisse], invano cercherete
la vostra patria! Le mura, opera di Apollo,
fumeranno sotto le loro macerie.
Ma i Penati di Troia avranno dimora in queste tombe;
perché è un dono degli dei conservare
un nome elevato [anche] nelle miserie.
E voi palme e cipressi che le nuore
di Priamo piantano, e [che] crescerete presto – ahi!-
innaffiati di lacrime vedovili, proteggete i miei avi:
e chi, pietoso, asterrà la scure dalle fronde sante
si addolorerà meno di lutti di parenti
e toccherà santamente l’altare. Un giorno vedrete
un cieco mendicante [Omero] aggirarsi sotto le vostre
ombre antichissime, e penetrare nei loculi a tentoni,
e abbracciare le urne, e interrogarle.
Le cavità nascoste gemeranno,
e tutte le tombe narreranno di Troia,
distrutta due volte e due risorta
splendidamente sulle vie silenziose
per rendere più bella la vittoria finale
ai figli di Peleo [Achille e Pirro, cioè i greci] mandati dal fato.
Il sacro poeta [Omero], consolando con la poesia
quelle anime afflitte, eternerà i principi greci
per tutte le terre che il gran padre oceano circonda.
E anche tu Ettore, avrai l’onore del pianto
ovunque sarà [considerato] santo e degno di lagrime il sangue
versato per la patria [dovunque vi sarà civiltà], e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane [finché durerà l’uomo].