| IL ROGO DELL'INFELICE DIODNE (5. 1- 7) Intanto ormai Enea sicuro teneva il centro della rotta e tagliava i neri flutti con Aquilone osservando le mura, che già splendono per le fiamme dell'infelice Elissa. Si ignora quale motivo abbia acceso tanto fuoco; ma i crudeli dolori per un amore macchiato ed il sapere cosa possa una donna furente, conduconoi cuori dei Teucri attraverso un triste presagio.
ARRIVO DI ENEA IN SICILIA ( 5. 8- 34) Come le barche tennero il mare e non appare più alcuna terra, mari ovunque ed ovunque cielo, gli stette sopra il capo una scura nube portando notte e freddo e l'nda rabbrividì per le tenebre. Lo stesso Palinuro, il pilota, dall'alta poppa: "Ahi, perché mai tante nubi cinsero i cieli? O cosa prepari, padre Nettuno?" Poi espressosi così ordina di raccoglier le vele e di buttarsi sui forti remi, piega le velature al vento dice tali cose: "Magnanimo Enea, se anche Giove garante mi rispondesse, non spererei di toccare l'Italia con tale cielo. I venti cambiati fremono di traverso e si alzano dal nero occidente, anche l'aria si coagula in nube. Noi pur sforzandoci siam tanto capaci di proseguire contro. Poiché la Sorte vince, seguiamola, ovunque chiami, volgiamo il cammino. Non credo lontano i leali lidi fraterni di Erice ed i porti siculi, se però ben memore ricalcolo gli astri osservati" Allora il pio Enea: "Gia da molto vedo che i venti voglion così e che tu invano vai contro. Cambia corso con le vele. C'è forse per me qualche terra più gradita, dove più desideri lasciare le stanche navi, che quella che mi conserva il dardanio Aceste e che abraccia in grembo le ossa del padre Anchise? Appena detto ciò, gli Zefiri favorevoli volgono ai porti e gonfian le vele; e veloce la flotta sene va nel gorgo, e finalmente lieti si dirigono alla conosciuta spiaggia.
ONORI SULLA TOMBA DEL PADRE ANCHISE ( 5. 35- 104) Ma lontano osservando dall'alta cima del monte Aceste corre all'arrivo, alle navi amiche, spaventoso nelle armi e nella pelle di orsa libistide, (lui) che madre troiana generò concepito dal fiume Crinisio. Egli non immemore degli antichi padri festeggia i reduci e lieto e li accoglie con rustico dono e consola gli stanchi con regali amichevoli. Poi appena il chiaro giorno aveva cacciato le stelle dal primo Oriente, Enea chiama a raccolta da tutta la spiaggia i compagni e parla dall'argine di un rialzo: "Grandi Dardanidi, stirpe dall'alto sangue degli dei, si compie, trascorsi i mesi, il giro d'un anno, da quando seppellimmo in terra i resti e le ossa del padre divino e consacrammo i mesti altari. Ormai, se non sbaglio, ricorre il giorno, che sempre riterrò acerbo, ma sempre onorato (così voleste, o dei). Se io, esule, lo passassi nelle Sirti getule o, catturato, nel mare Argolico e nella città di Micene, tuttavia eseguirei i voti annuali e le solenni cerimonie, secondo il rito e riempirei gli altari dei loro doni. Ora poi siamo vicini alle ceneri ed alle ossa dello stesso padre, non credo senza un progetto, senza una volontà degli dei ed entriamo, spinti, in porti amici. Oesù e celebriamo tutti la lieta festa; chiamiamo i venti; egli voglia che io annualmente, fondata la città, offra alui in templi consacrati questi riti. Aceste, generato da Troia, vi dà due capi, in tutto, di buoi per navi: invitate anche i penati patrii ali banchetti anche quelli che l'ospite Aceste onora. Inoltre se la nona Aurora porterà ai mortali il santo giorno e ricoprirà il mondo di raggi, indirò per i Teucri per prime le gare della flotta veloce; e chi vale nella corsa a piesi e chi, audace per forze o si presenta migliore nel giavellotto e nelle frecce leggere o si fida d'attaccare uno scontro col forte cesto, tutti sian presenti e s'aspettino i premi della meritata palma. Propiziate tutti col silenzio e cingete le tempia di rami" Così espressosi, vela le tempia di mirto materno: Questo fa Elimo, questo Aceste, maturo d'età, questo il giovane Ascanio e l'altra gioventù li segue. Egli avanzava dall'assemblea verso il tumulo con molte migliaia, in mezzo, mentre una grande folla l'accompagna. Qui ritualmente libandodue coppe di puro Bacco, (ne) versa per terra, due di latte fresco, due di sangue sacro, e sparge fiori purpurei e dice tali cose: "Salve, padre santo, di nuovo salve, ceneri invano raccolte, anime ed ombre paterne. Non fulecito con te cercare i territori itali ed i campi fatali, né, qualunque sia, l'ausonio Tevere". Aveva detto queste cose, quando dai luoghi più profondi una serpe enorme, viscida, trasse sette cerchi, sette giri abbracciando placidamente il tumulo e scivolando tra gli altari, macchiato sul dorso di nota cerulea, ed un fulgore accendeva la squama d'oro, come l'arcobaleno proietta tra le nubi mille diversi colori, quando il sole è davanti Stupì alla vista Enea. Quello con lungo snodo finalmente strisciando tra le tazze e le leggere coppe libò le offerte e di nuovo, innocuo, si ritrasse nel profondo del tumulo e lasciò gli altari assaggiati. Per questo riprende di più i riti iniziati per il padre, incerto se credere se sia il genio del luogo o un messaggero del padre; sgozza secondo il rito due pecore, altrettanti porci, altrettanti giovenchi neri nei dorsi, con le coppe versava vini ed invocava l'anima del grande Anchise ed i Mani richiamati dall'Acheronte. Non meno i compagni, quale a ciascuno è dato, lieti portano doni, riempiono gli altari e sacrifican giovenchi; alcuni collocano in ordine caldaie e sparsi nell'erba mettono spine sotto gli spiedi ed arrostiscono le carni.
I GIOCHI FUNEBRI (5. 105-138) Il giorno aspettato arrivava e nella luce serena i cavalli di Fetonte ormai recavano la nona Aurora, la fama ed il nome dell'illustre Aceste aveva chiamato i vicini; avevan riempito i lidi con lieto gruppo per vedere gli Eneadi, parte anche pronti a gareggiare. Anzitutto i premi son posti in mezzo allo spiazzo davanti agli occhi: triopodi sacri,verdi corone, palme come dono ai vincitori, armi e vesti ricamate di porpora, talenti d'argento e d'oro; la tormba dall'altura squilla i giochi promessi. Quattro navi uguali, scelte da tutta la flotta con remi pesanti iniziano le prime gare. Mnesteo guida l'agile Pristi con forte remeggio, presto Mnesteo, l'italo, dal cui nome la gente di Memmio, Gia (guida) la gran Chimera dalla grande stazza, costruzione di una città, e la spingono la gioventù Dardana con triplice spinta, i remi s'alzano con triplice ordine; Sergesto, da cui trae nome la casa Sergia, si spinge con la grande Centauro, Cloanto con l'azzurra Scilla, da cui, o romano Cluenzio, la stirpe per te. Lontano nel mare c'è una roccia contro i lidi spumeggianti, che sommerso a volte è colpito da flutti rigonfi, quando i Curi invernali nascondon le stelle; con la calma tace, ma se l'onda è immobile si innalza come una pianura, graditissimo spazio per i caldi gabbiani. Qui il padre Enea fissò da verde leccio la verde meta come segnale ai marinai, da cui sapessero ritornare e dove ripiegare le lunghe rotte. Allora scelgono a sorte i posti e gli stessi capi adorni splendono lontano sulle poppe di porpora e d'oro; il resto della gioventù si vela di fronde di pioppo e risplende, cosparsa le nude apalle di olio. Siedon sui banchi, lebraccia tese sui remi; attenti aspettan il segnale, un'ansia plsante e la tesa voglia di lodi divora i cuori esultanti.
LA GARA DELLE NAVI (5. 139 - 285) Poi, quando la tromba squillante lanciò il suono, senza indugio, tutti scattarono dai loro posti; il grido marinaresco ferisce i cieli, spinti i muscoli, le onde sconvolte spumeggiano. Tagliano parallelamente solchi, tutto il mare, battuto dai remi e da rostri a tridente si spalanca. Non così a precipizio in una gara di bighe, i carri si avventarono sulla pianura, usciti dal cancello, né, lanciati i gioghi, gli aurighi scossero le briglie ondeggianti e piegati si tendoni nelle frustate. Allora tutto il bosco risuona all'applauso ed al clamore di uomini che con impegno tifano, i lidi chiusi risuonano la voce, i colli percossi dal grido riecheggiano. Scatta davanti agli altri Gia e scivola sulle prime onde tra le turba ed i fremito; ma Cloanto lo insegue, (la nave) di pino, migliore per i remi, ma lenta per il peso lo trattiene.Dopo questi, ad ugual distanza, Pristi e Centauro tentano di raggiungere una miglior postazione; ora ce l'ha Pristi, ora l'enorme Centauro sorpassa la vinta, ora entrame si portano insieme, unite le fronti e con la lunga carena solvcano i guadi salati. Ormai s'avvicinavan allo scoglio e tenevano la meta, quando Gia per primo, vincitore, nel gorgo sgrida a voce il pilota della nave, Menete: "Dove mi vai tanto a destra? Qui dirigi la rotta; ama il lido e con la sinistra senza remo stringa la roccia; altri tengano il largo." disse; ma Menete temendo le cieche rupi, distorce la prora verso le onde d'alto mare. "Dove vai fuori corsa?" di nuovo" Tieni le rocce, Menete." Mentre Gia urlava con grida, ecco vede Cloanto, che incalza dietro e si tiene più vicino. Egli tra la nave di Gia e le rocce sonanti all'nterno rasenta il passaggio sinistro e subito sorpassa il primo e, lasciate le mete, ottiene il mare sicuro. Allora davvero al giovane un forte dolore bruciò nelle ossa, ne le guance mancaron di lacrime e dimentico del suo onore e della salvezza dei compagni sbatte il lento Menete a capofitto dall'alta poppa in mare; egli come pilota subentra al timone, egli da nocchiero esorta gli uomini e gira la barra ai lidi. Ma pesante, come appena a stento si riprese dal fondo, Menete, già vecchio e grondante per la veste inzuppata si dirige in cima allo scoglio e si sedette sulla rupe asciutta. Ne risero i Teucri, quando cadeva e nuotava, ne ridono mentre vomita dal petto i flutti salati. Allora per gli ultimi due si accese una lieta speranza, per Sergesto e Mnesteo, di superare Gia che s'attardava. Sergesto prende prima il posto e s'avvicina allo scoglio, ma tuttavia egli non è primo, perché la nave non sorpassava tutta, in parte è primo, in parte l'emila Pristi preme col rostro. Ma Mnesteo in mezzo alla nave andando trai compagni esortava:"Adesso, adesso forzate coi remi, compagni di Ettore, che io scelsi come cpmpagni nell'estrema sorte di Troia; adesso mostrate quelle forse, adesso quegli spiriti, di cui vi serviste nelle getule Sirti e nel mar Ionio e nelle onde incalzanti di Melea. Io Mnesteo non chiedo i primi premi né voglio vincere, benchè, oh..Ma vincano, Nettuno, quelli cui ciò concedesti; sia vergogna esser arrivati ultimi: in questo vincete, cittadini, ed evitate il disonore". Essi buttano al massimo della gara: l'aerea poppa trema per i forti colpi il suolo (del mare) si toglie di sotto, poi un frequente anelito scuote le membra e le aride bocche, ovunque il sudore scorre a rivi. Ma proprio il caso porto agli uomini il desiderato onore: infatti mentre Sergesto furente nel cuore all'interno spinge la prora alle rocce e s'mmette in spazio sfavorevole, sortunato s'incagliò nelle rocce sporgenti. Le rupi si scossero ed i remi puntati sullo scoglio aguzzo si spaccarono e la prua schiacciata restò sospesa. S'alzano i marinai e tra grande schiamazzo si fermano prendono pali ferrati e pertiche dalla cima appuntita e raccolgon nel gorgo i remi spezzati. Ma lieto Mnesteo più forte per lo stesso fatto con la veloce schiera dei remi ed i venti invocati si dirige sui flutti distesi e corre sul mare aperto. Come una colomba improvvisamente cacciata da una caverna, che ha la casa ed i dolci nidi nell'oscuro sasso, si porta volando sui campi ed atterrita nell'interno dà un gran battito di penne, poi scivolando nell'aria quieta sfiora il limpido corso e muove le celeri ali: così Mnesteo, così la stessa Pristi in fuga taglia gli ultimi flutti, così la stessa foga la porta in volo. Ed anzitutto lascia sull'alto scoglio Sergesto che lotta e che invano nei bassi fondali invocava aiuto e tentava di correre coi remi spezzati. Quindi raggiunge Gia e la stessa Chimera dalla gran stazza; cede, perché è privata del pilota. Ormai resta da solo Cloanto sullo stesso arrivo, ma lo cerca e lo incalza spingendo con tutte le forze. Allora davvero si raddoppia il grido e tutti incitano l'inseguitore col tifo, il cielo risuona d'applausi. Questi si irritano se non ottengono il proprio onore ed il premio guadagnato, voglion scambiare la vita col premio. Li anima il successo: possono, perché credon di potere. Forse avrebbero preso i premi, pareggiati i rostri, se Cloanto tendendo in mare entrambe le palme non avesse offerto preghiere e chiamato gli dei in aiuto: "Dei, che avete il dominio del mare, di cui corro i mari, io, lieto, vi dedicherò su questo lido un toro davanti agli altari, fedele al voto, getterò nei flutti salati le viscere e verserò limpidi vini" Disse, e sotto i flutti profondi lo udì tutto il coro delle Nereidi, di Forco e la vergine Panopea, e lo stesso padre Portuno con la gran mano lo spinse ad andare: quella più celermente di Noto ed alata freccia fugge a terra e si ritrasse nel porto profondo. Allora il figlio d'Anchise, chiamatili tutti, secondo costume, con la gran voce dell'araldo dichiara vincitore Cloanto e gli vela le tempia di verde alloro, concede di scegliere i doni per le navi, tre giovenchi ciascuna, e portare vini ed un pesante talento d'argento. Agli stessi capi aggiunge particolari premi: al vincitore una clamide d'oro, che una lunga orpora melibea circonda attorno con triplice orlo, c'è ricamato il regio fanciullo sull'Ida frondosa, spietato stanca veloci cervi con freccia e corsa, simile ad ansante, ma lo rapì in alto dall'Ida il veloce armigero di Giove con piedi uncinati; gli anziani custodi invano tendono le palme stelle, il latrato dei cani abbaia contro le stelle. Ma chi poi ottenne il secondo posto per coraggio, a costui concede di avere una triplice corazza intessuta d'oro e con tre ami, che lui vincitore aveva tolto a Demoleo presso il rapido Simoenta sotto l'alta Ilio, come onore e protezione in armi per un eroe. A stento i servi Fegeo e Sagari la portavano sforzandosi sulle spalle, ripiegata; un tempo Damoleo, rivestitone, inseguiva di corsa i Teucri sbandati. Offre come terzi premi due lebeti di bronzo e coppe d'argento lavorate e sbalzate con figure. Ormai così tutti premiati se n'andavano superbi coi doni, recinte le tempia di nastri purpurei, quando strappatosi a stento con molta fatica dallo scoglio crudele, Sergesto, persi i remi, debole per un solo ordine, conduceva una barcca derisa, senza premio. Quale spesso un serpente sorpreso in un argine di strada, che una ruota di bronzo trapassò di traverso o un crudele viandante lasciò mezzo morto e ferito da un colpo con un sasso, invano fuggendo dà lunghi contorsioni col corpo, in parte fiero e ardente con gli occhi e dritto alzando i colli sibilanti; la parte storpiata dalla ferita trattiene lui che s'ntreccia con nodi e si ripiega nelle sue membra: con tale remeggio la nave si muoveva lenta; tuttavia spiega le vele ed a vele piene raggiunge i porti. Enea lieto per la nave salvata ed i compagni ricondotti premia Sergesto col dono promesso. Gli è data una schiava non ignara dell'opera di Minerva, Foloe, cretese di stirpe, due figli gemelli al seno.
LA CORSA A PIEDI ( 5. 286 -361) Conclusa questa gara, il pio Enea si dirige in una pianura erbosa, che da ogni parte i boschi cingevano con curve colline, ed in mezzo alla valle del teatro c'era un cerchio; dove l'eroe si portò con molte migliaia e , costruita una tibuna, si sedette in mezzo. Qui invita con doni gli animosi, che vogliano per caso gareggiare in rapida corsa e colloca i premi. D'ogni parre arrivano i Teucri e gli aniti Siculi, Niso ed Uurialo per primi, Eurialo famoso per bellezza e verde giovinezza, Niso per pio amore del ragazzo; poi li seguì il regale Diore della nobile stirpe di Priamo; insieme Salio e Patrone, uno di questi Acarnese, l'altro da Arcadio, sangue di popolo Tegeo; poi due giovani della Trinacria, Elimo e Panope, abituati ai boschi, compagni dell'anziano Aceste; inoltre molti, che l'oscura fama nasconde. In mezzo ad essi poi Enea così parlò: "Accogliete queste cose nel cuore e tendete liete le menti. Nessuno tra questo gruppo se ne andrà da me non premiato. Darò da portare due lucide lance di ferro lavorato ed una bipenne cesellata in argento; questo premio darà uguale per tutti. I primi tre riceveranno doni e si cingeranno il capo di biondo olivo. Il primo vincitore avrà un cavallo stupendo con le falere; il secondo una faretra amazzonia piena di frecce tracie, che un balteo attorno cinge di oro spesso e una fibbia l'annoda con gancio lucente. Il terzo se ne andrà contento di questo elmo argolico." Come furon dette queste cose, prendon posto e subito, udito il segnale, divoran gli spazi e lascian la partenza, lanciati, simili a nube. Insieme guardan le mete. Per primo corre Niso e brilla ben davanti a tutti i corpi, più veloce dei venti e delle ali del fulmine; vicino a lui, vicino ma a molto intervallo, segue Salio; poi dietro, lasciata una distanza, Eurialo per terzo; elimo segue Eurialo; poi proprio dietro a lui ecco vola Diore e gia col calcagno tocca il calcagno incalzando alla spalla, e se ci fossero più spazi passerebbe, scappando per primo e lascierebbe incertezza. E già quasi nello spazio finale giungevano stanchi sullo stesso traguardo, quando Niso scivola sfortunato sul sangue, poichè per caso versato per terra, uccisi i giovenchi, aveva inzuppato le verdi erbe. Qui il giovane ormai vincitore, esultante, non trattenne i piedi uncerti sul suolo premuto, ma piegato cadde sullo stesso fango immondo e sul sacro sangue. Tuttavia non dimenticò Eurialo, né gli affetti: infatti s'oppose a Salio alzandosi sul viscidume; egli allora giacque. rotolato, sulla terra allentata, brilla Eurialo e vincitore per dono dell'amico tiene il traguardo, vola col plaudo ed il fremito favorevole. Poi arriva Elimo e adesso, terzo premio, Diore. Allora Sali riempie di fortigrida tutta l'assemblea dell'enorme platea e le prime presenze dei padri, chiede sia restituito a lui il premio rubato con l'inganno. Il favore rassicura Eurialo ed anche le belle lacrime; poiché il valore giunge più gradito in un bel corpo. Aiuta e grida a gran voce Diore, che giunse alla palma ed invano giunse agli ultimi premi, se fossero resi a Salio i primi posti. Allora il padre Enea"Vostri, disse, vi restano sicuri i regali, ragazzi, e nessuno cambia d'ordine la vittoria; mi sia lecito commiserare i fatti d'un innocente amico". Espressosi così dà a Salio l'enorme dorso d'un leone getulo, pesante per i peli e le unghie dorate. Allora Niso"Se così grandi, disse, sono i premi per i vinti, abbi pietà dei caduti, quali doni darai a Niso, io che meritai il primo premio se il caso ostile, quello di Salio, non avesse colpito me?" Ed insieme a queste parole ostentava l'aspetto e le membra sporche d'umido fango. L'ottimo padre gli sorrise e comandò che si portasse uno scudo, arte di Didimaone, staccato dai Danai da un sacro battente di Nettuno. Premia il nobile giovane con questo dono stupemdo.
IL PUGILATO ( 5.362- 484) Poi, quando furon finite le corse consegnò i doni, "Ora, se a qualcuno in petto (c'è) valore e coraggio forte, si presenti ed alzi le braccia con le palme legate": così disse, e propone doppio premio per la gara, al vincitore un giovenco velato d'oro e di bende, una spada ed uno splendido elmo, come consolazioni per il vinto. Non esitazione; subito con grandi forse Darete offre la faccia e s'alza tra un gran mormorio di uomini. Il solo che era solito gareggiare contro Paride, e lui stesso al tumulo dove giace il massimo Ettore, abbattè il vincitore Bute, dal corpo gigantesco, che si vantava provenendo dalla stirpebebricia di Amico;, e lo stese moribondo sulla bionda sabbia. Tale Darete alza l'alto capo per gli inizi degli scontri, mostra le larghe spalle e stendendole mostra le braccia alterne e colpisce l'aria di colpi. Si cerca un altro per costui; e nessuno tra tanta folla osa affrontare l'uomo portare i cesti alle mani. Quindi superbo credendo che tutti si ritirassero dalla gara si piantò ai piedi di Enea, né esitando di più tiene per un corno il toro con la sinistra e così parla: "Figlio di dea, se nessuno osa darsi allo scontro, quale il termine di star femi? Fin quando è decente che sia tenuto? Ordina di portare i doni". Tutti insieme fremevano in viso i Dardanidi e incitavano a dare all'eroe le promesse. Allora il severo Aceste rimprovera Entello con parole, come sedeva vicino sul verdeggiante letto d'erba: "Entello, invano un tempo il più forte degli eroi, permetti sopportando che si gran doni sian presi senza alcuna gara? Dov'è adesso quel dio per noi, invano ricordato come maestro, Erice? Dove la fama per tutta la Trinacria e quei trofei pendenti nelle tue case?" Quegli in risposta:"Non cessò l'amore del premio e la gloria, spenta dalla paura; ma il sangue freddo per la vecchiaia che blocca s'affievolisce, le forze sfinite nel corpo gelano. Se avessi quella d'un tempo di cui costui superbo esulta fidandosi, se adesso ci fosse quella giovinezza, non indotto senz'altro dal dono e dal bel giovenco sarei venuto, non aspetto regali". Avendo così parlato, gettò nel mezzo i due cesti di enorme peso, con cui il terribile Erice portava in gara il pugno e stendere le braccia nella dura pelle. Gli animi stupirono: le enormi pelli di sette buoi eran rigidi per il piombo inserito ed il ferro. Prima di tutti lo stesso Darete si stupisce e davvero rifiuta, il magnanimo Anchisiade valuta il peso qua e là e le stesse immense cinghie. Allora l'anziano riferiva tali espressioni dal petto: "Che? Se uno avesse visto i cesti e le stesse armi di Ercole e la triste lotta su questa stessa spiaggia? Un tempo tuo fratello Erice portava queste armi; li vedi ancora sporchi di sangue e cervello sparso, con questi stesse contro il grande Alcide, con questi io ero abituato, mentre un sangue migliore dava le forze, né ancora la rivale vecchiaia, sparsa, biancheggiava sulle due tempia. Ma se il troiano Darete rifiuta queste nostre armi e ciò piace al pio Enea, Aceste, il garante, l'approva, pareggiamo gli scontri. Ripongo le pelli di Erice, caccia le paure, anche tu togli i cesti troiani. Detto questo buttò dalle spalle il doppio mantello, denudò i grandi arti delle membra, le grandi ossa ed i muscoli ed immenso si piantò in mezzo all'arena. Allora il padre, figlio d'Anchise, portò cesti uguali e legò le palme di entrambi con armi pari. L'uno e l'altro teso subito si portò sulle punte e impavido alzò le braccia in alto al cielo. Ritrassero le alte teste lontano dal colpo incrociano le mani e con le mani provocan lo scontro, quello migliore per l'agilità dei piedi fidandosi sulla giovinezza, questi potente per le membra e la mole; ma le lente ginocchia, a lui tremolante, vacillano ed il debole respiro scuote le grandi membra. Gli uomini invano tra loro si lancian molti colpi; molti ne raddoppiano e provocano di petto vasti rimbombi, la mano gira frequente attorno alle orecchie ed alle tempia, le mascelle crepitano sotto il colpo violento. Entello pesante è fermo ed immobile con sforzo e lo stesso corpo svia i colpi con la tattica e gli occhi vigili. Quello, come chi con macchine assedia un'alta città o sta sotto le armi attorno a fortezze montane, con arte gira attorno ora a questi passaggi, ora a quelli e ad ogni postazione ed invano preme con vari assalti. Entello alzandosi mostrò un destro e s'alzò in alto, quello veloce previde il colpo proveniente da sopra e sfuggendo col corpo veloce si scansò; Entello buttò le forze al vento ed inoltre lui, pesante, pesantemente cadde a terra col gran peso, come talvolta un pino cavo, divelto alle radici, cade sull'Erimanto o sul grande Ida. Per il tifo si alzano i Teucri e la gioventù trinacria; il clamore va al cielo, Aceste accorre per primo e pietoso alza da terra l'amico coetaneo. Ma l'eroe non bloccato dall'incidente né atterrito più aspro ritorna allo scontro e l'ira accresce la forza; allora la vergogna ed il coraggio risoluto accende le forze, acceso insegue Darete a precipizio per tutto lo spiazzo ora col destro raddoppiando i colpi, ora quello con la sinistra. Non dubbio, né riposo: quanto le nubi crepitano sui tetti per la molta grandine, così l'eroe incessante con densi colpi e con ambe le mani imperversa e colpisce Darete. Allora il padre Enea non sopportando che Entello continuasse oltre ed infierisse con animosità furibonde, impose allora la fine dello scontro e strappò lo stanco Darete, convincendlo a parole e s'esprime così: "Sfortunato, che grande pazzia ti colpì la mente? Non senti altre forze e le divinità contrarie? Cedi al dio."Disse e col discorso troncò gli scontri. Ma i fidi compagni portano quello, che trascina le deboli ginocchia, che sbatte la testa da una parte e dall'altra, che vomita dalla bocca sangue denso ed i denti mischiati col sangue; richiamati ritirano l'elmo e la spada, ad Entello lascian la palma ed il toro. Questi vincitore, esultando in cuore e superbo per il toro: "Figlio di dea, e voi , Teucri, disse, sappiate queste cose: quali sian state le forze in me, in un corpo giovane, e da quale morte salviate Darete, sottrattolo:" Disse e si piantò contro il muso del giovenco davanti, che stava come premio della gara, e ritirata la destra, dritto, librò in mezzo tra e corna i pesanti cesti spaccato il cervello, li conficcò nelle ossa: il bue si stende esanime e tremando stramazza a terra. Egli aggiunge dal petto tali espressioni: "Erice, ti offro questa anima migliore al posto della morte di Darete; qui vincitore depongo i cesti e l'arte".
IL TIRO CON L'ARCO ( 5. 485 -544) Subito Enea invita a gareggiare con la freccia veloce quelli che eventualmente vogliano e proclama i premi, con mano potente innalza l'albero dalla nave di Seresto e sospende sull'alto dell'albero perforato ad una fune un'alata colomba, cui tirare col ferro. Vennero gli uomini ed un elmo di bronzo accolse la sorte gettata, e per primo esce con grido concorde prima di tutti il turno dell'Irtacide Ippocoonte; e lo segue poi Mnesteo, vincitore nella gara navale, Mnesteo cinto di verde oliva. Terzo Eurizione, o nibilissimo Pandaro, tuo fratello, che una volta istigato ad infrangere un patto per primo lanciasti un'arma in mezzo agli Achei. Ultimo restò Aceste in fondo all'elmo, osando anche lui tentare con la mano un impegno di giovani. Allora con grandi forze gli uomini, ognuno per sé, curvano i flessibili archi e estraggono le frecce dalle faretre, per prima la freccia del giovane Irtacide straccia le arie veloci nel cielo, stridendo il nervo, giunse e si conficca sul palo dell'albero davanti. L'albero tremò e il volatile vibrò con le penne, atterrito, e tutto rinuonò d'un immenso applauso. Poi il fiero Mnesteo, accostato l'arco, guardando in alto tese insieme gli occhi e la freccia . ma sfortunato non potè toccare col ferro lo stesso uccello; ruppe i nodi e le corde di lino, con cui, legata per il piede, pendeva dall'alto albero; ella fugge volando tra i Noti e le nere nubi. Allora rapido, già tenendo le frecce tese con l'arco preparato, Eurizione invocò con preghiere il fratello, osservando ormai nel vuoto cielo la colomba che con le ali volava, la trafigge sotto una nera nube. Cadde esanime e lasciò la vita tra gli astri celesti e cadendo riporta la freccia conficcata. Persa la palma, restava il solo Aceste, che tuttavia tese l'arma nelle aure celesti mostrando, come padre, l'arte e l'arco risonante. Qui apparve improviso agli occhi un prodigio destinato a grande augurio; in seguito il grande esito insegnò ed i terrorizzanti vati predissero tardi responsi. Infatti volando il legno si incendiò tra le limpide nubi segnò la via con le fiamme e sottile svanì consunta tra i venti, come spesso staccate dal cielo le stelle volando passano e lasciano una chioma. Gli uomini Trinacrii ed i Teucri si bloccarono con le menti sospese pregando i celesti, e il grandissimo Enea non disconobbe il presagio, ma abbacciando Aceste contento lo riempie di grandi doni e così parla: "Prendi, padre:il gran re dell'Olimpo volle infatti che tu sorteggiato per tali auspici ritirassi i premi. Avrai questo dono dello stesso anziano Anchise, una coppa scolpita di immagini, che un tempo il tracio Cisseo aveva dato al padre Anchise da tenere in gran dono come ricordo di sé e pegno d'amore". Così espressosi cinge le tempia di verdegggiante alloro e davanti a tutti dichiara vincitore assoluto Aceste. Né il buon Eurizione invidiò l'onore tolto, anche se lui solo atterrò dall'alto cielo l'uccello. Vicino giunge per i premi chi ruppe le corde, ultimo chi trafisse col legno alato l'albero.
PARATA DI GIOVANI TROIANI A CAVALLO ( 5.545-602) Ma il padre Enea, non ancora finita la gara, chiama a sé Epitide, tutore e compagno del giovane Iulo e così parla all'orecchio fidato: "Orsù vai e di' ad Ascanio se ha già con sé pronta una giovane schiera ed ha disposto i tornei di cavalli, guidi le squadre per il nonno e si mostri nelle armi" disse. Egli ordina che tutto il popolo entrato nel grande circo si ritiri e gli spiazzo siano liberi. Avanzano i ragazzi ed insieme davanti agli acchi dei genitori brillano sui cavalli frenati, e tutta la gioventù della Trinacria e di Troia ammirandoli mentre procedono, freme. Secondo l'uso, tutti (hano) la chioma cinta di corona ritaglaita; portano due aste di corniolo puntate di ferro, parte (ha) leggere faretre in spalla; una collana di duttile oro intrecciato corre sul collo. Tre squadre in tutto di cavalieri ed i tre capi girano; dodici ragazzi seguendo ciascuno con schiera divisa splendono e con a capo le guide. Una schiera di giovani, che esultante la guida il piccolo priamo che ripete il nome del nonno, tua famosa, o Polite, Stirpe, destinata ad accrescere gli Itali; e lo porta un cavallo tracio bicolore, con macchie bianche, ostentando pezze bianche in fondo al piede e, dritto, la fronte bianca. Il secondo Atis, da cui i latini Azii trassero la stirpe, il piccolo Atis e ragazzo amato da Iulo ragazzo. Ultimo e prima di tutti bello d'aspetto, Iulo, e portato da cavallo di Sidone, che la candida Didone aveva dato che fosse ricordo di sé e del suo amore. L'altra gioventù è portata da cavalli trinacrii dell'anziano Aceste. I Dardanidi osservando i timorosi li accolgono con l'applauso, gioiscono e riconoscono i volti degli antichi antenati. Dopo che lieti sui cavalli osservarono tutta l'assemblea e gli occhi dei loro, da lontano Epitide diede con un grido il segnale ai pronti e schioccò con la frusta. Essi allineati corsero ed aprirono le schiere a tre, sciolte le schere, e di nuovo chiamati invertirono le vie e portarono le armi puntate. Poi iniziano, affrontandosi, altri giri ed altri ritorni negli spazi, ed intrecciano giri alterni con giri evocano finte di guerra sotto le armi; or con la fuga scoprono le spalle, ora aggressivi volgon le armi, fatta la pace insieme si recano. Come un tempo, si dice, nell'alta Creta il Labirinto aveva un passaggio coperto da buie pareti ed un doppio inganno con le mille vie, per dove un incomprensibile ed irripetibile intrico rompeva i segnali del proseguire; non diversamente i figli dei Teucri bloccano di corsa i passaggi ed intrecciano fughe e scontri per gioco, simili ai delfini, che nuotando per gli umidi mari solcano il (mar) libico e Carpazio (e giocan nell'onde). Ascanio per primo ripetè questo tipo di corsa e queste gare, cingendo di mura Alba Longa, ed istruì gli antichi Latini a celebrarli, nel modo in cui lui da ragazzo, e con lui la gioventù troiana; Gli albani insegnarono ai loro; di qui poi la grandissima Roma imparò e conservò il rito dei padri; ora si chiama "Troia" ed i ragazzi "schiera troiana". Fin qui le gare celebrate per il divino padre.
LE NAVI INCENDIATE ( 5. 603 -663) Anzitutto qui Fortuna, mutatasi, cambiò aspetto. Mentre con vari giochi offrivano alla tomba i riti solenni, la saturnia Giunone inviò dal cielo Iride e spira a lei che va alla flotta iliaca i venti, tramando molto non ancora ripagata dell'antico dolore. La vergine affrettando la via, per un sentiero, attraverso l'arco di mille colori, vista da nessuno, corre velocemente. Vede la grande folla, guarda i lidi, vede i porti deserti e la flotta abbandonata. Ma lontane le Troiane ritirate in suoli isolati piangevano il perduto Anchise e tutte osservavano il mare profondo piangendo. Ahi, restava per le stanche tanti guadi, e tanto mare: una sola espressione per tutte. Chiedono una città, angoscia patire la fatica del mare. Perciò si immette in mezzo, non ignara di nuocere depone la veste e l'aspetto di dea; diventa Beroe, anziana moglie di Tmario Doriclo, che un tempo ebbe stirpe, fame e figli, e così si porta in mezzo alle madri dei Dardanidi. "O misere, che la mano achea, disse, non ha tatto alla morte sotto le mura della patria. O popolo sfortunato, a quale rovina tiriserva Fortuna? Ormai ricorre la settima estate dopo la caduta di Troia, da che siam portate dopo aver misurato mari, tutte le terre tante rocce inospitali e stelle, mentre inseguiamo per il grande mare un italia che fugge e siam travolte dalle onde. Qui (sono) le terre fraterne di Erice e l'ospite Aceste: chi impedisce di fondare mura e dare una città ai cittadini? O patria, o Penati invano strappati al nemico, forse mai nessuna sarà chiamata mura di Troia? Altrove non vedrò fiumi ettorei, Xanto e Simoenta? Dunque orsù, bruciate con me le sciagurate navi. Mi parve in sogno che la figura della profetessa Cassandra portasse ardenti fiamme:"Qui cercate Troia; questa è la patria, disse. E' tempo ormai le la cosa si compia, nessuna esitazione a tanti prodigi. Ecco quattro altariper Nettuno; il dio stesso offre fiaccole e coraggio" Ricordando queste cose, per prima afferra con forza il fuoco nemico e sforzandosi, alzata la destra in alto, la scuote e la scaglia. Bloccate (sono) le menti e storditi i cuori delle Troiane. Allora una delle tante, la più anziana, Pirgo, nutrice regia dei tanti figli di Priamo, "Voi non avete Beroe, non è questa, o madri, la retea moglie di Doriclo; notate i segni della divina bellezza e gli occhi ardenti, quale spirito in lei che avanza, quale volto e suono di voce o passo. Io stessa, partita, ho lasciato poco fa Beroe malata, addolorandosi perché lei sola mancava a tale cerimonia e non offrisse meritati riti ad Anchise". Così paelò. Ma le madri dapprima esitanti con occhi malevoli guardavano le navi, incerte tra il misero amore della terra presente ed i regni che chiamavano coi fati quando la dea con ali appaiate si alzò per il cielo e con la fuga segnò sotto le nubi un grande arco. Allora attonite per i prodigi e spinte dal furore gridano, afferrano il fuoco dai focolari interni, parte spogliano gli altari, gettano fronda, virgulti e fiaccole.Vulcano infuria, a briglie sciolte, tra i banchi, i remi e le poppe d'abete, dipinte.
LA BENEFICA PIOGGIA DI GIOVE (5. 664-699) L'araldo Eumelo riferisce alla tomba d'Anchise ed ai settori del teatro delle navi bruciate, loro stessi vedono in una nube la nera siamma volare. Per primo anche Ascanio, come guidava lieto le corse equestri, così ardente a cavallo si diresse al campo Sconvolto, né lo posson trattenere i pallidi maestri. "Che strana pazzia questa? Dove ora, dove andate?" disse, ahi, misere cittadine? Non bruciate il nemico, ed i campi avversari degli Argivi, ma le vostre speranze. Ecco, son io il vostro Ascanio". Buttò ai piedi l'elmo inutile, di cui rivestito per gioco evocava finzioni di guerra: Insieme s'affretta Enea, insieme le schiere dei Teucri. Ma quelle scappano qua e là disordinatamente sui lidi per paura, si dirigono nei boschi e di nascosto ovunque nelle rocce scavate; si vergognano dell'azione e della luce, cambiate riconoscono i loro e Giunone fu scossa dal petto. Ma intoro la fiamma e gli incendi non deposero le forze indomabili; sotto il rovere bagnato vive la stoppa vomitando un fumo pigro, il fuoco rode le carene e la rovina scende per tutto il corpo, le forze degli eroi ed i fiumi versati non giovano . Allora il pio Enea strappava la veste dalle spalle chiamava in aiuto gli dei e tendeva le palme: "Giove onnipotente, se non ancora odiasti i Troiani fino all'ultimo uomo, se la pietà guarda un poco le fatiche umane, concedi ora che la fiamma fugga dalla flotta, padre, e strappa da morte le esili sorti dei Troiani. Oppure tu, ciò che resta, mandami a miore col fulmine ostile, se lo merito, e qui annullami con la tua destra": Appena aveva detto questo, quando, rovesciatesi le piogge, una nera tempesta infuria senza preavviso e tremano le cime delle terre e le pianure; una furiosa pioggia cade da tutto il cielo, nerissima, d'acqua e di densi Austri, sopra si riempion le poppe, le tavole semibruciate s'nzuppano, finchè tutto il fuoco (fu) spento e tutte le navi, perdutene quattro, (furon) salvate dalla rovina.
CONSIGLI DI NAUTE (5.700-745) Ma il padre Enea, scosso dalla crudele disgrazia, pensando volgeva i grandi affanni ora qua, ora là nel cuore, se dimenticandosi dei fati si fermasse nei campi siculi, e raggiungesse le spagge italiche. Allora l'anziano Naute, l'unico che la tritonia Pallade istruì e rese famoso per la grande arte - essa dava responsi, o cosa significasse la grande ira degli dei o cosa chiedesse l'ordine dei fati;- egli consolando Enea con queste frasi, comincia: "Figlio di dea, dove i fati traggono e ritraggono, seguiamo(li); checcè sarà, ogni sorte dev'esser vinta sopportando. Tu hai il dardanio Aceste di stirpe divina: prendilo ed uniscilo come alleato volonteroso per i consigli, a lui affida quelli che, perdute le navi, sono in più e quelli che odiano la grande iniziativa e le tue imprese. Scegli i vecchi longevi e le madri stanche di mare e ciò che c'è con te di malato e che teme il pericolo, e lascia che, stanchi, abbian le mura su queste terre; chiameranno la città, approvato il nome, Acesta" Infiammato da queste parole dell'anziano amico allora ancora è dibattuto in cuore in tutti gli affanni;
E la nera Notte, portata su bighe, occupava il polo. Poi sembrò che l'immagine del pader Anchise scesa dal cielo improvvisamente dicesse tali frasi: "Figlio, per me più caro della vita un tempo, quando la vita durava, figlio addolorato dai fati iliaci, vengo qui per ordine di Giove, che scosse il fuoco dalle navi, e finalmente si è impietosito dall'alto cielo. Obbedisci ai consigli che l'anziano Naute dà, bellissimi; porta in Italia giovani scelti, cuori fortissimi. Nel Lazio tu devi vincere un popolo duro per tradizione ed aspro. Prima però vai alle dimore infernali e cerca nei profondi Averni i miei incontri. Non mi tengono infatti gli empi Tartari, le ombre tristi, ma abito le belle assemblee dei pii, l'Elisio. Qui la casta Sibilla ti condurrà, grazie al gran sangue di animali. Allora imparerai tutta la tua stirpe e quali mura sian date. Ormai ti saluto; l'umida Notte volge i corsi ed il crudele Oriente mi ha spinto con i cavalli ansanti." Aveva detto e fugge leggero come fumo nell'aria. Enea "Dove corri dunque? Dove precipiti? disse, "chi fuggi? O chi ti caccia dai nostri abbracci?" Ricordando questo scuote la cenere ed i fuochi assopiti, supplice venera il Lare di Pergamo ed i penetrali della bianca Vesta con pio farro e con incensiere pieno.
NUOVA PARTENZA ( 5. 746-778) Subito anzitutto chiama i compagni ed Aceste per primo rivela il comando di Giove e gli ordini del caro padre e quale idea adesso stia in cuore. Non esitazione per le decisioni, Aceste non rifiuta i comandi: assegnano alla città le madri e lasciano il popolo che vuole, animi per nulla vogliosi di gran lode. Essi rinnovano i banchi e rimettono sulle navi le travi mangiate dalle fiamme, adattano remi e funi, pochi di numero, ma un coraggio vivace per la guerra. Frattanto Enea con l'aratro disegna la città e sorteggia le case; ordina che questo sia Ilio e questi luoghi Troia. Il traiano Aceste gode per il regno convoca il foro e dà le leggi ai padri eletti. Allora sulla vetta ercina è fondata una sede vicina agli astri per Venere idalia, al tumulo di Anchise attorno (fu) assegnato un sacerdote ed un bosco sacro. Ormai per nove giorni tutto il popolo ha banchettato e (fu) reso onore agli altari: i placidi venti stesero le acque ed Austro assiduo spirando cihama di nuovo al largo. Sorge un immenso pianto sui lidi ricurvi; abbracciandosi a vicenda indugiano giorno e notte. Le stesse madri ormai, gli stessi, cui un tempo senbrò crudele la vista del mare e non tollerabile il nome, vogliono andare e sopportare tutta la fatica della fuga. Il buon Enea li consola con parole amiche e piangendo li affida alconsanguineo Aceste. Ordina di uccidere tre vitelli per Erice ed un'agnella alle Tempeste e di scioglire la fune per ordine. Egli cinto di foglie di olivo tagliato lontano, stando sulla prua tiene la coppa, lancia viscere sul flutti salati e versa limpidi vini. A gara i compagni feriscon il mare e spazzan le acque; il vento sorgendo da poppa accompagna i partenti.
VENERE E NETTUNO ( 5.779 -834) Ma Venere intanto colpita dagli affanni parla a Nettuno e riversa dal cuore tali lamenti: "L'ira pesante di Giunone ed il cuore insaziabile mi costringono, Nettuno, a scendere a tutte le preghiere; ma né il lungo tempo né alcuna pietà la mitiga, né calmata dal comando di Giove e dai fati si quieta. Non è sufficiente aver annientato dal centro del popolo dei Frigi una città con odii indicibili né d'aver tratto per ogni pena I resti di Troia: perseguita le ceneri e le ossa della (città) stramorta. Sappia lei le cause di tanto furore. Tu stesso mi (se) testimone, quale mole improvvisamente abbia susciato nelle onde poco fa: ha mischiato tutti i mari col cielo, confidando invano nelle tempeste eolie, osando questo nei ruoi regni. Ecco, spinte al delitto le madri Troiane, brutalmente incendiò le poppe e, persa la flotta, costrinse a lasciare compagni a terra ignota. Per il resto, prego, ti piaccia dare sull'onde vele sicure, piaccia toccare il Tevere Laurente, se chieso cose permesse, se le Parche dàn quelle mura". Allora il saturnio domatore dell'alto mare disse queste cose: " E' tutto giusto che tu, Citerea, confidi nei miei regni, da cui trai origine. Lo meritai anche; spesso compressi i furori e tanta rabbia di cielo e mare. Né sulle terre, chiamo a testimonio Xanto e Simoenta, (ebbi) minore cura del tuo Enea. Quando Achille spingeva alle mura inseguendole le stremate schiere troiane, quando dava molte migliaia alla morte, i torrenti gemevano pieni né Xanto poteva trovare la via al mare e scorrere, allora io rapii in una nube cava Enea scontratosi col forte Pelide, senza dei e forze pari, mentre desideravo sradicare dal profondo le mura costruite con le mie mani di Troia spergiura. Anche adesso per lui mi resta lo stesso sentimento; caccia le paure. Sicuro raggiungerà i porti dell'Averno, che tu desideri. Sarà uno soltanto che tu cercherai perduto nel gorgo; sarà data una sola testa in cambio di molte2. Come addolcì con tali detti i lieti cuori della dea, il padre con l'oro unisce i cavalli ad essi selvaggi mette i freni schiumanti e con le manni allenta tutte le briglie. Con l'azzurro carro vola leggero sulla sommità delle acque; s'abbassano le onde ed il mare gonfio d'acque si distende sotto l'asse tuonante, i nembi fuggono nel vasto etere. Allora le varie forme di compagni, i giganteschi cetacei, Il vecchio coro di Glauco, Palemone di Ino i Tritoni veloci e tutto l'esercito di Forco; Teti tiene la sinistra, Melite, la vergine panopea, Nisea e Spio, Talia e Cimodoce. Allora le blande gioie penetrano a loro volta la mente sospesa del padre Enea; ordina ben presto si alzino tutti gli alberi, si mettan le braccia alle vele. Insieme tutti puntarono il piede e parimenti sciolsero i sinistri ed ora i veli destri, insieme girano gli alti pennoni e li rigirano; i propizi soffi portano la flotta. Davanti a tutti Palinuro per primo guidava la fitta schiera; gli altri son obbligati ad andare su tale rotta.
LA MORTE DI PALINURO (5. 835 - 871) Ormai l'umida Notte aveva quasi toccato la meta nel mezzo del cielo, i marinai rilassavan le membra nella placida quiete sdraiati sotto i remi lungo i duri sedili, quando il Sonno scivolando leggero dagli eterei astri smosse l' aria tenebrosa e cacciò le ombre, cercando te, Plinuro, portando a te innocente i tristi sogni; il dio si sedette sull'alta poppa simile a Forbante e versa con la bocca queste chiacchiere: "Palinuro di Iasio, le stesse acque portan la flotta, le arie spirano costanti, è dato tempo al riposo. Poggia la testa e ruba gli stanchi occhi alla fatica. Io stesso un poco affronterò i tuoi doveri per te." A stento alzandogli gli occhi Palinuro dice. "Vuoi forse che io ignori il volto del placido mare ed i quieti flutti? Forse che io mi fidi di questo mostro? Affiderei forse Enea? Tante volte ingannato da arie fallaci e dall'imbroglio del cielo sereno?" Dava tali risposte, fisso ed attaccandosi mai lasciava il timone e teneva gli occhi sotto le stelle. Ecco il dio scuote sopre entrambe le tempia un ramo inzuppato di rugiada letea e drogato di forza Stigia, scioglie, a lui esitante, gli occhi natanti. Appena la quiete improvvisa aveva rilassato le prime membra, quando saltandogli sopra, divelta una parte della poppa, lo gettò nelle limpide onde col timone a capo fitto e spesso invocante invano i compagni; egli alato, volando, si alzò leggero nell'aria. Non di meno la flotta corre una rotta sicura imperterrita per le promesse del padre Nettuno s'avanza. Ed ormai trasportata raggiungeva gli scogli delle Sirene, un tempo difficili e bianchi per le ossa di molti, allora le rocce risuonavano roche lontano per il mare incessante, quando il padre capì che la nave ondeggiando errava, perduto il pilota, lui stesso la resse nelle onde notturne molto gemendo e colpito in cuore dalla morte dell'amico: "O Palinuro, fidatoti troppo del cielo e del mare sereno, nudo giacerai su sabbia ignota".
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