| GLI INIZI DELLA GUERRA (8.1-30) Come Turno innalzò dalla rocca il segnale di guerra ed i corni con rauco canto rimbombarono, e come frustò i forti cavalli e come agitò le armi, subito gli animi si scossero, insieme tutto il Lazio con trepido tumulto giura e la fiera gioventù 5 infuria. Per primi i capi Messapo ed Ufente ed il disprezzatore degli dei Mezemzio da ogni parte radunano le truppe e svuotano di coltivatori i vasti campi. Si manda Venulo alla città del grande Diomede, che chieda aiuto, informi che i Teucri s'nsediano nel Lazio, 10 Enea è sbarcato con la flotta e porta i vinti Penati e si dece chiesto dai fati come re, che molri popoli s'uniscono all'eroe dardanio ed il nome si sparge a vasto raggio nel Lazio: che cosa combini con tali inizi, quale evento di scontro 15 voglia, se la fortuna lo segue, appare piuù chiaramente a lui stesso (Diomede) che al re Turno ed al re Latino. Così per il Lazio. Ma l'eroe laomedonzio vedento tutto questo è agitato dalla grande tempesta di affanni e divide la veloce mente ora quua ora là, 20 lo strappa in diverse parti e dappertutto si volge, così la luce tremula nei bronzei catini d'acqua quando rifranto dal sole o dall'immagine della raggiante luna volteggia intorno per tutti i luoghi, e già si erge all'aria e ferisce i soffitti della sommità del tetto. 25 Era notte ed un profondo sopore per tutte le terre possedeva i viventi stanchi, la specie degli uccelli e degli armenti, quando il padre Enea sulla riva e sotto la volta del gelido etere, turbato in cuore per la triste guerra, si sdraiò e concesse un tardo riposo alle membra. 30
IL DIO TEVERE (8.31-85) A lui lo stesso dio del luogo, il Tevere dal bel corso, sembrò alzarsi in mezzo ai rami di pioppo e lo velava di azzurro mantello il sottile lino e la canna ombrosa (ne) copriva i capelli, così parlava e con queste parole toglieva gli affanni: 35 "O nato da stirpe di dei, che ci riporti dai nemici la città troiana e conservi eterna Pergamo, atteso dal suolo di Laurento e dai campi latini, tu qui hai sicura la casa, sicuri, non scoraggiarti, i penati. Non atterrirti alle minacce di guerra; tutto il rancore e le ire 40 degli dei cessarono. Ormai per te, non credere che il sonno crei questi fantasmi, trovata sotto le elci litoranee un'enorme scrofa giacerà, dopo aver partorito trenta piccoli, bianca, sdraiata al suolo, i piccoli attorno ai capezzoli, bianchi. 45 [questo sarà il posto della città, quella la sicura quiete delle fatiche,] Da questo, ritornando tre volte dieci anni, Ascanio fonderà la città dal nome famoso: Alba. Non canto incertezze. Ora con che piano tu riesca vincitore su quanto incombe, ascolta, spiegherò in breve. 50 In questi lidi gli Arcadi, stirpe originata da Pallante, che come compagni il re Evandro, che neguirono le insegne, scelsero il luogo e posero sui monti la città Pallanteo dal nome del proavo Pallante. Questi continuamente muovon guerra col popolo latino; 55 costoro aggiungili come soci agli accampamenti e stringi alleanze. Io stesso ti guiderò tra le rive ed il giusto corso, perché sospinto tu superi coi remi la corrrente contraria. Su alzati, figlio di dea e mentre cadono i primi astri, offri a Giunone preghiere ritualmente, vinci con voti 60 supplici ira e minacce. Da vincitore mi renderai onore. Io sono quello che vedi stringer le rive con piena corrente e tagliare le ricche coltivazioni, l'azzurro Tevere, fiume graditissimo al cielo. Qui ho la mia grande dimora, tra eccelse città esce la fonte." 65 Disse poi il fiume si nascose nel profondo letto volgendosi ai fondali; la notte ed il sonno lasciò Enea. Si alza guardando le luci nascenti del sole etereo ritualmente alza dal fiume l'onda con le cave palme ed effonde al cielo tali parole: 70 "Ninfe, ninfe di Laurento, donde i fiumi hanno origine, e tu, o Tevere padre col tuo santo corso, accogliete Enea ed allontanatelo finalmente dai pericoli. Con qualunque fonte i laghi trattengano te che commiseri i nostri mali, da qualunque suolo tu esca bellissimo, 75 sempre sarai onorato col mio onore, sempre con doni come fiume cornigero sovrano delle acque esperidi. Oh assistimi solo e più da vicino conferma la tua protezione." Così parla e sceglie dalla flotta due biremi e le fornisce di remeggio, insieme equipaggia i compagni di armi. 80 Eco dunque un prodigio impovviso e meraviglioso per gli occhi, una candida scrofa e dello stesso colore del bianco parto si sdraiò nella selva e si vede sul verde lido; orbene il pio Enea a te, Giunone massima, a te offrendo un sacrificio la immola e con la prole la dispone presso l'altare. 85
IL VIAGGIO SUL TEVERE (8.86-101) Quella notte, per quanto è lunga, calmò la gonfia corrente e rifluendo l'onda tacita così si arrestò, che stese la superficie alle acque a guisa di mite stagno e di placida palude, che mancasse al remo il contrasto. Quindi accelerano la rotta iniziata con lieto rumore: 90 l'unto abete scorre sui guadi; si meraviglian le onde, si meraviglia il bosconon abituato che nella corrente navighino scudi brillanti da lontano, e carene dipinte. Quelli faticano di remeggio giorno e notte superano i lunghi mendri, sono protetti da vari 95 alberi, e solcano sulla placida superficie verdi selve. Il sole infuocato aveva scalato metà giro del cielo quando vedono da lontano le mura e la rocca e sparsi i tetti delle case, che ora la potenza romana ha eguagliato al cielo, allora Evandro aveva povere cose. 100 Più rapidamente voltan le prore e s'avvicinano alla città.
PALLANTE, IL PRIMO DEI GIOVANI (8.102-183) Per caso in quel giorno il re arcade rendeva solenne onore al grande anfitrioniade ed agli dei nel bosco davanti alla città. Insieme con lui il figlio, insieme tutti i primi dei giovani ed il povero senato 105 offrivano incenso, tirpido sangue fumava presso gli altari. Come videro scorrere alte navi tra l'ombroso bosco e (uomini) taciti sforzarsi sui remi, si apaventano alla vista e tutti subito, lasciate le mense si alzano. Pallante audace vieta che essi 110 interrompano i sacri riti e presa la lancia, lui solo vola incontro e lontano dall'altura:"Giovani, quale motivo costrinse a tentare ignote vie? Dove andate?" disse. "quale stirpe? da quale patria?Portate pace o armi?" Allora il padre Enea dall'alta poppa così parla 115 e tende con la mano un rammo del pacifero olivo: "Tu vedi Troiugeni ed armi nemiche ai Latini, ma essi ci fecero profughi con guerra superba. Cerchiamo Evandro. Riferite questo e dite che capi scelti della Dardania son giunti a chiedere armi alleate" 120 Stupì colpito da tanto nome Pallante: "Avanza, chiunque tusia" disse " parla al cospetto del padre ed entra ospite tra i nostri penati." L'accolse con la mano e abbracciatolo strinde la destra; avanzati entrano nel bosco e lasciano il fiume. 125 Allora Enea parla al re con parole amiche: "Ottimo dei Graiugeni, cui la Fortuna volle che io supplice mi rivolgessi e tendessi rami coronate di benda, certamente non temetti perché guida di Danai ed Arcade e perché tu fossi unito per stirpe ai fratelli Atridi; 130 ma il mio coraggio, i santi oracoli degli dei ed i padri parenti, la tua fama diffusa nelle terre, unirono me a te e mi resero disponibile ai fati. Dardano, primo padre e fondatore della città iliaca, nato da Elettra Atlantide, come raccontano i Grai, 135 e portata fra i Teucri; Elettra la generò il massimo Atlante, che sostiene sulle spalle i mondi eterei. A voi e padre Mercurio, che la candida Maia, concepitolo, partorì sulla gelida cima di Cillene; Ma Maia, sentite se crediamo in qualcosa, la genera 140 Atlante, lo stesso Atlante che regge le stelle del cielo. Così la stirpe di entramdi si scinde da un unico sangue. Confidando su questo, non decisi messaggeri né con artificio primi tentativi con te; io stesso esposi me, me e la mia persona, supplice venni alle tue soglie. 145 E' la stessa gente Daunia che insegue te con guerra crudele; se cacciassero noi, credono che nulla mancherebbe a metter sotto i loro gioghi tutta l'Esperia completamente, ed il mare che hanno sopra e che scorre sotto. Accogli e dà alleanza. Noi abbiamo forti petto 150 per la guerra, abbiamo coraggio e gioventù provata dai fatti." Aenea aveva parlato. Egli osservava con lo sguardo il volto e gli occhi del parlatore e tutta la persona. Poi così brevemente risponde: " Fortissimo fra i Teucri, come volentieri accolgo e riconosco te. Come ricordo le parole 155 del padre, la voce ed il volto del grande Anchise. Ricordo proprio Priamo Laomedonziade che visitava regni della sorella Esione e dirigendosi a Salamina subito dopo visitava i gelidi territori d'Arcadia. Allora la prima giovinezza mi rivestiva le guance di floridezza, 160 e ammiravo i capi teucri, ammirravo anche lo stesso Laomenziade; ma su tutti più alto avanzava Anchise. In me il cuore ardeva di giovanile amore nel conversare con l'eroe e congiungere destra a destra; l'avvicinai e bramoso lo condussi sotto le mura di Feneo. 165 Egli partendo mi diede una stupenda faretra e freccie licie ed una clamide intessuta d'oro, due briglie d'oro che adesso ha il mio Pallante. Dunque la destra che chiedete per me è unita da patto, ed appena la luce di domani ritornerà sulle terre, 170 vi congederò felici per l'aiuto e vi doterò di mezzi. Intanto questi riti annuali, poiché veniste come amici, che sarebbe sacrilego rimandare, celebrateli con noi partecipando e già ora abituatevi alle mense di alleati." Come questo fu detto, comanda di portare vivande e 175 le coppe tolte e pone lui stesso gli eroi su erboso sedile, accoglie Enea, il primo, su cuscino e pelle di villoso leone e lo invita su trono di acero. Poi giovani scelti ed il sacerdote dell'altare portano a gara le viscere di tori arrostite, accumulano in canestri 180 i doni della laboriosa Cerere, e servono Bacco. Enea ed insieme la gioventù troiana si ciba della intera schiena di un bue e delle sacre viscere.
ERCOLE E CACO (8.184-279) Dopo che fu tolta la fame e saziata la voglia di mangiare, il re Evandro disse: "Questi solenni riti per noi, 185 queste mense di tradizione, questo altare di sì gran divinità non l'impose una vuota superstizione ed ignara degli dei antichi: ospite troiano, salvati da crudeli pericoli facciamo e rinnoviamo onori meritati. Prima osserva questa rupe sospesa su rocce, 190 come lontano le masse spaccate e la casa del monte sta deserta ed i massi provocarono enorme rovina. Qui ci fu la spelonca, separata da vasto cavità, che il crudele aspetto del semiuomo Caco teneva inaccessibile ai raggi del sole; e sempre la terra era tiepida di nuova strage, ai superbi battenti pendevano pallidi volti di uomini con triste marciume. A questo mostro Vulcano era padre. Vomitando neri fuochi dalla sua bocca si muoveva con grande mole. E finalmente il tempo portò a noi che lo desideravamo 200 l'aiuto e l'arrivo del dio. Infatti il massimo vendicatore Alcide, superbo per l'uccisione e le spoglie del triplice Gerione, arrivava e spingeva di qui, vincitore, enormi tori, ed i buoi occupavano la valle ed il fiume. Ma l'istinto bestiale di Caco ladro, perché qualcosa 205 non fosse stato inosato o intentato o di delitto o di inganno, rubò dalle stalle quattro tori dal corpo superbo, ed altrettante giovenche d'aspetto straordinario. E questi, perché non vi fossero delle impronte per gli zoccoli dritti, tirati dalla spelonca per la coda e girate le tracce dei percorsi 210 il ladrone li nascondeva sotto buia rupe; per chi cercava nessun segno portava alla spelonca. Intanto, quando ormai l'Anfitrionisde muoveva dalle stalle gli armenti sazi e preparava la partenza, i buoi muggivano nel partire e tutto il bosco si riempiva 215 di lamenti ed i colli si abbandonavano con rimbombo. Una delle vacche rispose al richiamo e sotto il vasto antro muggì e chiusa tradì la speranza di Caco. Allora però il dolore era arso di nera bile per la rabbia ad Alcide:strappa con la mano le armi ed una quercia 220 pesante di nodi e di corsa si dirige ai pendii dell'aereo monte, allora per la prima volta i nostri videro Caco che temeva e turbato negli occhi; subito fugge più forte di Euro e cerca la spelonca, ai piedi il timore aggiunse le ali. Come si chiuse e rotte le catene abbassò un masso 225 enorme, che pendeva grazie al ferro e l'arte paterna, con una sbarrà fortificò i battenti rafforzati, ecco il Tirinzio furente nel cuore era là e spiando ogni accesso portava gli sguardi qua e là, fremendo coi denti. Tre volte perlustra, acceso d'ira, 230 tutto il monte Aventino, tre volte invano tenta le soglie rocciose, trevolte, stanco, si sedette nella valle. Un'acuta roccia si alzava, ovunque su pietre scoscese, sorgendo sul dorso della spelonca, altissima a vedersi, dimora adatta ai nidi di uccelli rapaci. 235 Questa, come dal giogo pendeva china a sinistra sul fiume, da destra spingendosi contro la scosse e la divelse strappata dalla profondità delle radici, poi subito la spinse; a quellla spinta rimbomba l'altissimo cielo, sussultan le rive e rifluisce atterrito il torrente. 240 Ma la spelonca e l'immensa reggia di Caco apparve scoperta, e le ombrose caverne si aprirono completamente, non diversamente se per una qualche forza la terra spaccandosi completamente aprisse le sedi infernali e schiudesse i pallide regni, odiosi agli dei, e si vedesse dall'alto l'immenso 245 baratro, trepiderebbero i Mani per la luce immessa. Quindi sorpreso improvvisamente dalla luce inaspettata e chiuso nella cava roccia e ruggendo insolitamente dall'alto Alcide lo incalza di colpi, chiama tutte e armi sovrasta con rami e massi enormi. 250 Quello però, infatti non c'è più alcuna fuga del pericolo, dalle fauci vomita un enorme, mirabile a dirsi, fumo ed avvolge la casa di cieca caligine togliendo la vista agli occhi, accumula sotto l'antro una fumosa notte, mescolate al fuoco le tenebre. 255 Non sopportò in cuore l'Alcide, lui stesso si lanciò nel fuoco con un salto a capofitto, dove il maggior fumo spinge l'onda e l'ingente spelonca bolle di nera nebbia. Qui nelle tenebre afferra Caco che vomita vani incendi avvinghiandolo in un nodo e stringendo lo soffoca 260 gli occhi schizzati e la gola secca di sangue. Subito si apre la nera casa, divelti i battenti, le vacche strappate e le rapine negate con giuramento si mostrano al cielo, per i piedi l'orribile cadavere viene tirato. Non posson saziarsi i cuori vedendo 265 i terribili occhi, il volto ed il petto villoso di setole della semibestia ed i fuochi spenti nelle fauci. Da allora fu celebrata la festa e lieti i discendenti conservarono il giorno, e per primo il promotore Potizio, e la casa Pinaria custode del culto di Ercole 270 fondò questo altare nel bosco, che da noi sempre sarà detta massima e che sempre sarà massima. Perciò orsù, giovani, cingete le chiome di fronda nel dovere di tanti ringraziamenti e porgete coppe nelle destre, invocate il comune dio e volentieri date vini." 275 Aveva detto, il pioppo bicolore con l'ombra erculea velò le chiome e pendette intrecciato di foglie, e la coppa sacro riempì la destra. Più velocemente tutti lieti libano sulla mensa e pregano gli dei.
CANTI IN ONORE DI ERCOLE (8.280-306) Partito intanto l'Olimpo, Vespero si fa più vicino. 280 Ormai i sacerdoti e per primo Potizio procedevano cinti di pelli secondo tradizione, e portavano fiaccole. Preparano banchetti e portano i graditi doni della seconda mensa e ricoprono gli altari di piatti ricolmi. Allora si presentano i Salii cinte le tempia di rami 285 di pioppo per i canti attorno agli altari accesi, questo il coro dei giovani, quello degli anziani, che col canto ricordano le lodi di Ercole e le azioni: come stringendo due serpi li strozzò con la mano, primi mostri della matrigna, come in guerra lui stesso distrusse famose città, 290 Troia ed Ecalia, come patì milla dure fatiche sotto il re Euristeo per i fati della ingiusta Giunone. " Tu, invincibile, i nubigeni bimembri Ileo e Folo immoli con la mano, tu (ancora) i mostri cretesi e sotto la rupe il gigantesco leone di Nemea. 295 Per te tremarono i laghi stigi, per te (pure) il portinaio dell'Orco sdraiato nell'antro cruento sopra le ossa rosicchiate; te nessun mostro, lo stesso gigantesco Tifeo, tenendo le armi , non ti atterrì; non circondò te privo di piani il serpente lerneo con la folla di teste. 300 Salve, vera prole di Giove, aggiunto onore agli dei, propizio con piede benigno visita noi ed i tui riti." Così celebrano coi canti; oltre a tutto aggiungono la spelonca di Caco, lui che esalava (di) fuochi. Risuona di strepito tutto il bosco ed i colli sussultano. 305
L'ANTICO LAZIO (8.306-369) Celebrati dunque i riti sacri, tutti si recano in città. Avanzava il re, coperto di anni, e procedendo teneva vicino Enea, come compagno, ed il figlio ed alleviava la via con vario parlare. Enea ammira e porta i facili occhi attorno 310 a tutto, è colpito dai luoghi e lieto chiede cosa per cosa ed ascolta i ricordi degli eroi precedenti. Allora il re Evandro, fondatore della rocca romana: "Questi boschi li occupavano Fauni e Ninfe indigene popolo di eroi nato dai tronchi e dal duro rovere, 315 essi non avevano né tradizione né culto, né sapevano aggiogare tori o raccogliere beni o conservare il prodotto, ma rami ed aspra caccia li forniva di vitto. Per primo venne Saturno dall'etereo Olimpo fuggendo le armi di Giove, esule, perduti i poteri. 320 Egli raccolse la razza indocile e dispersa sugli alti monti e diede leggi, preferì che si chiamasse Lazio, poiché sicuro fu latitante in queste terre. D'oro furon le epoche, che tramandano, sotto quel re: così in placida pace governava i popoli, 325 fino a quando succedette poco a poco una età deteriore ed offuscata e la rabbia della guerra e l'amor di possedere. Allora giunsero un manipolo ausonio e le genti sicane, più spesso la terra saturnia prese nome; allora (vennero) re e l'aspro Tevere dal corpo gigantesco 330 da cui poi (noi) Itali chiamammo il fiume col nome di Tevere; perse l'antico vero nome di Albula. Me, cacciato dalla patria e che seguivo i confini del mare, la Fortuna onnipotente ed il fato ineluttabile mi posero in questi luoghi, e (mi) spinsero i tremendi 335 moniti della madre, la ninfa Carmente ed Apollo, dio promotore." Appena detto questo, avanzantosi da lì mostra sia l'altare sia la porta che i Romani chiamano col nome di Carmentale, antico onore della ninfa Carmenta indovina profetica, che per prima profetò i futuri 340 grandi Eneadi ed il nobile Pallanteo. Da qui mostra l'immenso bosco, che il forte Romolo rese asilo ed il Lupercale sotto la gelida rupe secondo ol costume parrasio detto di Pan liceo. Mostra pure la selva del sacro Argileto, 345 attesta il luogo e racconta la morte dell'ospite Argo. Da qui lo conduce alla sede tarpeia ed al Cmpidoglio, ora d'oro, un tempo irto di rovi selvaggi. Già allora la terribile venerazione del luogo atterriva i paurosi contadini, già allora tremavano per la selva e la roccia. 350 "Questo bosco, disse, colle dalla cima frondosa, (quale dio è incerto) l'abita un dio; gli Arcadi credono aver visto lo stesso Giove, mentre spesso scuoteva con la destra egida nereggiante e radunava i nembi. Inoltre queste due città dalla mura abbattute, 355 tu vedi i resti ed i ricordi degli antichi eroi. Questa la fondò il padre Giano, questa rocca Saturno; questa ebbe nome Gianicolo, quella Saturnia." Con tali discorsi tra loro s'avvicinavano ai tetti del povero Evandro, qua e là vedevano armenti 360 muggire nel foro romani e nelle ricche Carine. Come si giunse al palazzo, " Queste soglie, disse, le passò Alcide vincitore, questa reggia l'accolse. Osa , ospite, disprezzare le ricchezze e renditi tu pure degno del dio, vieni non non superbo con le cose povere." 365 Disse e condusse il grande Enea sotto i frontoni del piccolo tetto e lo accomodò sdraiato sulle foglie stese e sulla pelle di un'orsa libica: la notte precipita e con le fosche ali abbraccia la terra.
VENERE E VULCANO (8.370-406) Ma Venere, madre non invano sgomenta nel cuore 370 sconvolta dalle minacce di Laurento e dal duro tumulto parla a Vulcano, e così inizia nell'aureo letto del coniuge e con le parole ispira un amore divino: "Mentre i re argolici con la guerra devastavano la dovuta Pergamo e le rocche destinate a cadere per i fuochi nemici, 375 non chiesi nessun aiuto per i miseri, non le armi della tua arte e potenza, né volli, carissimo coniuge, che tu facessi le tue opere invano, benchè moltissimo dovessi ai figli di Priamo, e spesso avessi pianto la dura fatica di Enea. 380 Ora per gli ordini di Giove si fermò nelle terre dei Rutuli: dunque io stessa vengo supplice e chiedo alla (tua) potenza per me sacra le armi, una madre per il figlio. Te la figlia di Nereo, te la sposa titonia potè piegare con lacrime. Guarda quali popoli si radunano, quali mura, chiuse òle porte, 385 affilano il ferro contro di me e la morte dei miei." Aveva detto e qua e là la divina con le nivee braccia lo scalda, lui esitante, con un morbido amplesso, Egli subito accoglie la solita fiamma, ed il noto calore penetrò nelle midolla e corse per le ossa crollate, 390 non diversamente da quando a volte rotta da risplendente tuono una igne fenditura brillante percorre di luce le nubi; S'accorse la moglie lieta dei tranelli e conscia della bellezza. Allora il padre stravinto dall'eterno amore dice: "Perché cerchi motivi da lontano? La fiducia di me per te 395 dove andò, divina? Se ci fosse stato simile affanno, anche allora sarebbe stato lecito per noi armare i Teucri; né il padre onnipotente né i fati vietavano che Troia durasse per altri dieci anni e Priamo soprvvivesse. E adesso se ti prepari a combattere e questo è per te il disegno, 400 checchè di prmura posso promettere nella mia arte, ciò che si può fare col ferro o col limpido elettro, quanto valgono fuochi e mantici, smetti, pregando, di dubitare delle tue forze.". Dette quelle parole diede gli amplessi desiderati e cercò, riversatosi nel grambo 405 della moglie il placido sopore nelle membra.
LE OFFICINE DI VULCANO (8.407-453) Quindi quando ormai nel mezzo del corso della notte trascorsa, la prima quiete aveva cacciato il sonno, appena che la donna cui fu imposto di sopportare con la conocchia e la sottile Minerva, suscita le ceneri ed i guochi sopiti 410 aggiungendo la notte alla fatica e con lungo compito alle lucerne affatica le ancelle, perché possa conservare casto il letto del coniuge ed allevare i figli piccoli: no diversamente il potente del fuoco né più tardo di quel tempo sorge dai molli giacigli per i lavori di fabbro. 415 Un'isola presso il lido sicanio e la Lipari eolia s'innalza alta con fumanti rocce, ma sotto di essa una spelonca e gli Antri etnei corrosi dalle officine dei Ciclopi rimbombano, i forti colpi uditi sulle incudini danno gemiti, stridono nelle caverne 420 le colate dei Calibi ed il fuoco nelle fornaci ansima, (è) la casa di Vulcano ela terra di nome Vulcania. Qui allora il potente col fuoco discese dall'alto cielo. I Ciclopi nel vasto antro lavoravano il ferro, Bronte, Sterope e nudo nelle memdra Piragmone. 425 Queste mani avevano un fulmine plasmato già con una parte levigata, quelli che numerosissimi il genitore da tutto il cielo scaglia sulle terre, parte restava imperfetta. Avevano aggiunto tre raggi di pioggia arricciata, tre di nube acquosa, tre di rosso fuoco e di Austro alato. 430 Adesso mescolavano all'opera folgori terrificanti e rimbombo e paurae le ire con le fiamme incalzanti. In altra parte attendevano al carro per Marte ed alle ruote volanti, con cui egli eccita gli uomini e le città; e rifinivano a gara le armi di Pallade adirata, la terrificante 435 egida, in oro con squame di serpenti, le serpi intrecciate e sul petto della dea la stessa Gorgone che gira gli occhi sul collo mozzato. "Togliete tutto, disse, mettete via le opere iniziate, Ciclopi etnei, e qui fate attenzione: 440 occorre fare armi per un forte eroe. Adesso uso di forze, (c'è bisogno) adesso di mani rapide, di ogni arte maestra adesso. Buttate via le incertezze." Disse non di più, ma quelli tutti si gettarono più alacremente e divisi gli incarichi ugualmente. A ruscelli scorre il bronzo ed il metallo dell'oro 445 il micidiale acciaio fonde nella vasta fornace. Formano un gigantesco scudo, unico contro tutte le lance dei Latini, alle piastre saldano sette piastre. Altri con mantici ventosi prendono e danno aria, altri bagnano in un lago i bronzi 450 che stridono; l'antro geme per le incudini impegnate; essi alternativamente alzano le molte braccia a ritmo, voltano la massa con tenaglia potente.
DISCORSO DI EVANDRO ED IL SUO AIUTO (8.454-519) Mentre il padre Lemnio affretta queste cose nelle terre eolie, la grande luce dall'umile tetto sveglia Evandro 455 el i canti mattutini di uccelli sotto la volta. L'anziano si alza e si copre le membra con la tunica e mette attorno alle piante dei piedi i lacci tirreni. Poi al fianco ed alle spalle lega la spada tegea avvolgendo la pelle di pantera calata da sinistra. 460 Inoltre anche due guardie dall'alta soglia precedono e dei cani accompagnano il passo del padrone. Si dirigeva alla sede e gli appartamenti dell'ospite Enea, memore l'eroe dei discorsi e del dono promesso. Non di meno Enea si faceva mattiniero; 465 veniva come compagno per questi il figlio, per quello Acate. Incontratisi uniscono le destre e si siedono su sedili nel mezzo e finalmente godono di libero discorso. Il re per preimo così: "Grandissima guida dei Teucri, salvo il quale mai 470 dichiarerò veramente vinte le potenze ed i regni di Troia, per noi all'aiuto di guerra a confronto di nome sì garnde esigue (sono) le forze; di qui siam chiusi dal fiume tosco, di là il Rutulo ci incalza e strepitano di armi attorno al muro. Ma io a te voglio unire ingenti popoli e accampamenti ricchi 475 di poteri, e questa salvezza la offre un caso impensato: ti rechi qui, chiedendolo i fati. Non lontano di qui, fondata su antica roccia, si trova la sede della città agillina, dove un tempo il popolo di Lidia, famosissima in guerra, s'insediò nei gioghi etruschi. 480 Questa fiorente per molti anni ma poi con comando superbo e crudeli armi, la tenne il re Mezenzio. Perchè ricordare le sacrileghe stragi, perché gliefferati delitti del tiranno? Gli dei li riservino al suo capo ed alla stirpe. Addirittura congiungeva corpi morti ai vivi 485 collegando le mani alle mani ed i volti ai volti, (sorta di tortura) e così li uccideva grondanti di marciume e putredine in un miserevole abbraccio con lunga morte. Ma finalmente i cittadini stanchi armati attorniano lui stesso che scatenava mostruosità e la casa, 490 (ne) uccidono i compagni, gettan fuoco ai tetti. Egli sfuggito tra la strage nei territori dei Rutuli fuggiva ed era difeso dalle armi dell'ospite Turno. Perciò tutta l'Etruria insorse con giusti furoti, richiedono il re per il supplizio, con Marte presente. 495 A queste migliaia io ti renderò condottiero, Enea. Su tutto il lido le poppe radunate fremono e comandano di dare il segnale, li trattiene il vecchio aruspice profetando i fati: "O scelta gioventù di Meonia, fiore e valore degli antichi eroi, che un giusto dolore porta 500 contro il nemico e Mezenzio accende con meritata ira, a nessun Italico è lecito sottomettere un sì gran popolo: scegliete capi stranieri." Allora la schiera etrusca per questo si arrestò sul campo atterrita dai moniti degli dei. Lo stesso Tarconte inviò a me messaggeri e la corona 505 del regno con lo scettro e mi affida le insegne, (perché) io avanzi con gli accampamenti, prenda i regni tirreni. Ma una vecchiaia lenta per il freddo ed esausta per gli anni mi invidia il potere e le forze tarde ad azioni forti. Esorterei il figlio, se misto di madre sabella non 510 traesse di lì una parte di patria. Tu, il cui fato permette agli anni ed alla stirpe, che le divinità chiamano, procedi, o fortissimo condottiero di Teucri ed Itali. Inoltre a te unirò costui, speranza e delizia di noi, Pallante; sotto di te maestro si abitui a sopportare 515 la milizia ed il pesante lavoro di Marte, ad osservare i tuoi fati ed ammiri te fin dai primi anni. Darò a questi due volte cento cavalieri Arcadi, forze scelte di giovinezza, ed a suo nome altrettanti Pallante a te."
IL CHIARO SEGNO DI VENERE CITEREA (8.520-553) Aveva appena detto così ed Enea anchisiade 520 ed il fedele Acate tenevano fissi i volti, e pensavano nel loro triste cuore molte avversità, se dal cielo aperto Citerea non avesse dato un segno. Una folgore vibrata dall'etere improvviso giunse con fragore e tutto sembrò cadere subito, 525 ed lo squillo tirreno di tromba muggire nell'aria. Guardano in alto, di nuovo ed ancora un immenso fragore rimbomba. Vedono in una nube nella regione limpida del cielo delle armi brillare nel sereno e colpite tuonare. Gli altri stupirono in cuore, ma l'eroe troiano 530 riconobbe il suono e le promesse della divina madre. Allora ricorda: " Davero, ospite, non chiedere subito quale caso annuncino i prodigi: io son chiamato dall'Olimpo. La madre divina profetò che avrebbe mandato questo segno, se piombasse la guerra, ed avrebbe portato armi vulcanie 535 in aiuto nel cielo. Ahimè quante stragi sovrastano i miseri Laurenti. Quale fio, Turno, mi pagherai. Quanti scudi di eroi, elmi e corpi potenti volgerai sotto le onde, padre Tevere.Chiedano schiere, rompano i patti." 540 Come espresse queste parole, si alza dall'alto solio e prima ravviva coi fuochi erculei gli altari sopiti, e lieto venera il lare straniero ed i piccoli penati; parimenti Evandro immola ritualmente due pecore, parimenti la gioventù troiana. 545 Poi di qui passa alle navi e rivede i compagni, dal cui numero sceglie quelli di superiore valore che lo seguano alle guerre; la parte restante è portata dall'acqua in giù e lenta defluisce sul fiume favorevole, per giungere messaggera ad Ascanio dei fatti e del padre. 550 Si danno cavalli ai Teucri che si dirigono ai campi tirreni; per Enea ne conducono uno fuori sorteggio, che una rossa pelle di leone copre splendente con le unghie dorate.
IL SALUTO DI EVANDRO AL FIGLIO (8.554-584) La fama vola subito divulgata nella piccola città che i cavalieri vanno piuttosto velocemente alle soglie del re Tirreno. 555 Le madri raddoppiano le preghiere per la paura, il timore va troppo vicino al pericolo e maggiore ormai appare il volto di Marte. Allora il padre Evandro stretta la destra del partente s'attacca insaziabile piangendo e così parla: "O se Giove riportasse gli anni passati, 560 quale ero quando atterrai la prima fila sotto la stessa Preneste e vincitore incendia cumuli di scudi e con questa destra mandai sotto il Tartaro il re Erulo, a cui la madre Feronia nascendo aveva dato tre vite, orrendo a dirsi, le armi tre volte bisognava muovere, 565 bisognava tre volte abbatterlo con la morte; a lui però allora questa destra tolse le vite e parimenti lo svestì delle armi): io ora non sarei strappato dal tuo dolce abbraccio, figlio, mai, né mai Mezenzio insultando questo capo vicino avrebbe dato tante morti col ferro, 570 avrebbe privato la città di tanti cittadini. Ma voi, o celesti, e tu grandissimo sovrano degli dei Giove, prego, abbiate pietà del re arcade ed ascoltate le preghiere d'un padre. Se le vostre potenze, se i fati mi conservano Pallante incolume, 575 se vivo per vederlo e ritovari insieme, chiedo la vita, e patisco sopportare qualsiasi fatica. Se, Fortuna, minacci qualche situazione indicibile, adesso, oh adesso si possa rompere la crudele vita, mentre gli affanni (sono) ambigui, mentre la speranza del futuro (è) incerta, mentre, caro ragazzo, mia sola e tarda gioia, ti tengo con l'abbraccio, né una troppo grave notizia ferisca le orecchie." Queste espressioni riversava il genitore nella partenza suprema; i servi lo portavano in casa svenuto.
LA PARTENZA DA PALLANTEO (8.585-607) Già dunque era uscita, aperte le porte, la cavalleria, 585 Enea tra i primi ed il fido Acate, poi gli altri capi troiani; lo stesso Pallante va in mezzo alla schiera, notato dalla clamide e nelle armi dipinte, come quando Lucifero bagnato dall'onda di Oceano, che Venere preferisce tra gli altri fuochi degli astri, 590 ha alzato il sacro volto e sciolte le tenebre. Sulle mura stanno le pavide madri e con gli occhi seguono la nube di polvere e le truppe brillanti di bronzo. Essi tra i cepigli, per dove la meta delle vie è più vicina, si dirigono armati; corre il clamore, serrata la schiera, 595 lo zoccolo scuote il soffice campo con quadruplice suono. C'è un enorme bosco vicino al gelido fiume di Cere, sacro per il culto dei padri per largo tratto, ovunque concavi colli lo chiudono e lo cingoo un bosco di nero abete. E' fama che gli antichi Pelasgi han consacrato a Silvano, 600 dio dei campi e del bestiame, sia il bosco che un a data, quelli che per primi ebbero un tempo i terreni latini. Non lontano di qui Tarconte ed i Tirreni tenevano sicuri gli accampamenti in posizioni, e già da un alto colle si poteva vedere la legione e s'accampava in vasti campi. 605 Qui si recano l padre Enea ela gioventù scelta per la guerra, e stanchi riposano sia i cavalli che i corpi
LE ARMI DI VULCANO (8.608-625) Ma la dea venere tra i candidi nembi si presentava portando doni; come vide da lontano il figlio in una valle appartata solitaria presso il gelido fiume, 610 parlò con tali parole e si offrì apertamente: " Ecco i doni promessi fatti dall'arte del mio coniuge, perché non esiti, figlio, ad assalire subito in battaglia i superbi Laurenti ed il potente Turno." Disse, e la Citerea cercò gli abbracci del figlio, 615 pose le raggianti armi sotto una quercia di fronte. Egli lieto non potè saziarsi dei doni e di sì grande onore della dea e volse gli occhi su ogni particolare, ammira e gira fra le mani e le braccia il terribile elmo con le creste e vomitante fiamme, 620 la spada fatale, la corazza di bronzo, rigida, color sangue, gigantesca, come quando una azzurra nube arde ai raggi del sole e rifulge lontano; poi i gambali lucenti di elettro e d'oro fuso, l'asta e l'inenarrabile fattura dello scudo. 625
LO SCUDO DI ENEA (8.626-731) Lì re itale gesta ed i trionfi dei romani non ignaro dei vati e conoscitore del tempo futuro il potente col fuoco le aveva plasmate, lì tutta la razza della stirpe futura in ordine da Ascanio e le guerre combattute. Aveva plasmato anche la lupa di Marte che ha partorito 630 giacere nel verde antro, attorno alle mammelle a lei pendenti, i due bambini giocare ed impavidi succhiare la madre, ella con la testa tornita girata accarezzava l'uno e l'altro e leccava i corpi con la lingua. Né lontano da qui Roma e le Sabine nella folla del circo, 635 rapite senza legge, compiuti i grandi giochi Circensi, le aveva aggiunto ed improvvisamente scatenarsi nuova guerra tra Romulidi, il vecchio Tazio ed i Curi severi. Dopo gli stessi re armati, fermato lo scontro, davanti all'altare di Giove erano in piedi tenendo 640 le coppe e stringevano patti, sacrificata una porca. Non lontano di lì le veloci quadrighe in direzioni contrarie avevan spaccato Metto ( ma tu, Albano, dovevi restare alle parole) e Tullo trascinava le viscere dell'uomo falso per la selva, ed i rovi sparsi grondavan di sangue. 645 Pure Porsenna ordinava di accogliere Tarquinio cacciato e pressava la città di gigantesco assedio; Gli Eneadi si precipitavano alle armi per la libertà. Lo avresti potuto vedere simile a chi s'indigna e simile a chi minaccia, poiché Coclite osava rompere il ponte 650 e Clelia, rotte le catene, passava a nuoto il fiume. In cima alla rocca Tarpea Manlio, il custode, si ergeva davanti al tempio ed occupava l'alto Campidoglio, la reggia nuova era irta della paglia romulea. Ancora qui svolazzante tra i portici d'oro un'oca 655 d'argento gridava che c'erano i Galli; i Galli attraverso roveti si avvicinavano ed occupavan la rocca difesi dalle tenebre e dal dono d'una notte buia. Essi avevan capigliatura d'oro e veste d'oro, brillano nei mantelli striati, poi i colli lattei 660 son intrecciati d'oro, due lance alpine ciascuno rosseggiano in mano, protetti i corpi da lunghi scudi. Qui aveva scolpito i Salii danzanti ed i nudi Luperci i berretti di lana e gli ancili caduti dal cielo, le caste madri conducevano per la città sacri oggetti 665 su comodi carri. Pontano da qui aggiunse anche le sedi tartaree, le alte porte di Dite, pure le pene dei delitti, e te, Catilina, pendente da minaccioso scoglio e e temente i volti delle Furie, i pii appartati, Catone che dava ad essi le leggi. 670 Tra queste una dorata immagine di un mare gonfio correva vastamente, ma le acque azzurre spumeggiavano di bianco flutto, ed attorno splendenti delfini d'argento in cerchio le spazzavano con le code e tagliavano la marea. In mezzo era (possibile) vedere le flotte bronzee, 675 le guerre di Azio, e, schierato Marte, potevi vedere tutto il Laucate ribollire e risplendere nell'oro i flutti. Di qui Cesare Augusto guidando gli Itali in battaglie coi senatori ed il popolo, i penati ed i grandi dei, ritto su alta poppa, a cui le tempie liete lampeggiano 680 fiamme gemelle e si mostra sul capo la stella paterna. Da un'altra parte con venti e dei propizi, Agrippa arduo, guidando una schiera, cui, (insegna superba di guerra), rifulgono le tempie rostrate di corona navale. Di qui Antonio con la potenza barbarica e varie armi, 685 vincitore dai popoli dell?aurora e dal rosso lido, trae con sè l'Egitto, le forze d'Oriente e la lontanissima Battriana, segue (orrore!) la coniuge Egiziana. Insieme tutti corrono e l'acqua tutta spumeggia sconvolta dai remi ripresi e dai rostri a tre denti. 690 Si dirigono al largo; crederesti le Cicladi divelte nuotare per mare o alti monti corrano contro monti, con sì gran mole su poppe turrite gli uomini incalzano. Fiamma di stoppa e ferro volante si scaglia a mano e con armi, i campi di Nettuno rosseggiano di nuova strage. 695 La regina in mezzo col patrio sistro chiama le schiere, non ancora vede le serpi gemelle alle spalle. Mostri di dei d'ogni parte ed Anubi che latra tengono armi contro Nettuno e Venere e contro Minerva. Infuria Marte in mezzo allo scontro 700 lavorato su ferro, e le tristi Dire dall'etere, Discordia, strappato il mantello, avanza gioendo, e Bellona la segue con la frusta di sangue. Apollo d'Azio osservando questo tendeva l'arco da sopra; per quel terrore tutto l'Egitto e gli Indi, 705 ogni Arabo, tutti i Sabei voltavan le spalle. Si vedeva la stessa regina, chiamati i venti, dare le vele e via via mollava le funi allentate. Il potente col fuoco l'aveva fatta che fra le stragi pallida per la morte futura era portata dalle onde e da Iapige, 710 di fronte il Nilo dal gran corpo dolorante che apriva gli orli e con tutta la veste chiamava nell'azzurro grembo e nei fiumi tenebrosi i vinti. Ma Cesare, salito sulle mura romane con triplice trionfo, consacrava un voto immortale agli dei Itali, 715 trecento massimi templi per tutta la città. Le vie per la gioia fremevano di giochi e d'applauso; in tutti i templi cori di madri, in tutti (c'erano) altari; davanti agli altari giovenchi uccisi coprivan la terra. Lui stesso sedendo sul niveo seggio di Febo biancheggiante 720 esamina i doni dei popoli e li attacca ai superbi battenti; avanzano in lunga fila le genti vinte, varie quanto di lingue, tanto del tipo di veste e di armi. Qui la stirpe dei Nomadi e gli Africani discinti li aveva rappresentati il Mulcibero, i Lelegi, i Cari, i Geloni 725 che portan frecce; l'Eufrate già più mite correva con le onde, i Morini ultimi degli uomini, il Reno bicorne gli indomiti Dai e l'Arasse adirato per il ponte. Tali cose ammirava sullo scudo di Vulcano, doni della madre ed ignaro dei fatti gioisce per l'immagine 730 alzando sulla spalla sia la fama che i fati dei nipoti.
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