| DIDONE E LA CARA SORELLA ANNA ( 4. 1 - 53) Ma la regina ormai ferita da grave affanno alimenta nelle vene la ferita ed è rosa da cieco fuoco. Ricorre nel cuore il forte eroismo dell'eroe ed il forte onore della stirpe; s'attaccan fisse alla mente le fattezze e le parole nè l'affanno dà alle membra placida quiete. L'aurora seguente colla lampada febea illuminava le terre e dal cielo aveva cacciato l'umida ombra, quando impazzita così parrla alla sorella amatissima: "Anna, sorella, che incubi mi atterriscono ansiosa. Che ospite strano, questo, ( che) è giunto alla nostra casa, presentandosì come d'aspetto, di così forte petto e di armi. Lo credo davvero, non è vana certezza che è stirpe di dei. La paura rivela i cuori vili. Ah, da quali fati egli è sbattuto. Che guerre compiute raccontava. Se non mi stesse fisso ed immobile in cuore di non volermi unire a nessuno col vincolo cinuigale, dopo che il primo amore mi lasciò tradita con la morte; se non avessi disgusto per il rito di nozze, forse avrei potuto cedere a quest'unica colpa. Anna, lo confesserò, dopo i destini del povero marito Sicheo ed i penati dispersi dalla strage del fratello solo costui piegò i sentimenti e scosse il cuore che vacilla. Conosco i segni della antica fiamma. Ma per me vorrei o che prima la terra si spalanchi infima o il oadreonnipotente mi cacci col fulmine alle ombre, le pallide ombre nellErebo e la notte profonda, prima che violi, Pudore, o dissolva le tue leggi. Lui i miei amori, lui che per primo a sé mi unì, prese; lui li tenga con sé e li serbi nel sepolcro" Espressasi così, riempì il seno di lacrime dirotte. Anna riprende:"Oh più cara della luce, per tua sorella, forse sola soffrendo sarai divorata per tutta la giovinezza né conoscerai i dolci figli ed i regali di Venere? Credi che questo ami la cenere ed i mani sepolti? Sia: un tempo nessun marito piegò l'addolorata, non in Libia, non prima a Tiro: Iarba respinto e gli altri principi, che l'Africa, terra ricca di trionfi, alimenta: forse contrasterai ad un amore gradito? Né viene in mente nei campi di chi dimori? Di qui città getule, stirpe insuperabile in guerra, ti cingono e indomiti Numidi e la Sirte inospitale; di là una regione deserta per sete ed i furibondi Barcei. Perché nominare le guerre nascenti da Tiro e le minacce del fratello? Certamente con gli dei favorevoli e Giunone concorde credo che le navi di Ilio col venti ha tenuto questa rotta. Quale città, sorella, tu vedrai sorgere, questa, e che regni con tale unione! Alleandosi le armi dei Teucri, la gloria Punica a quali imprese si innalzerà! Tu intanto chiedi aiuto agli dei, celebrati i sacrifici, accorda l'ospitalità ed inventa motivi per fermarsi, mentre sul mare infuria l'inverno ed il piovoso Orione, e le navi sconquassate, mentre il clima è intrattabile."
L'AMORE DI DIDONE ( 4. 54 -89) Con tali parole infiammò l'animo di intenso amore e diese speranza al cuore dubbioso e dissolse il pudore. Prima visitano i templi ed implorano pace attorno agli altari; sacrifican pecore scelte di rito per Cerere legislatrice e per Febo e per ilpadre Lieo, per Giunone fratutti, cui stanno acuore i vincoli coniugali. Lei, la bellissima Didone, tenendola con la destra, versa la coppa tra le corna d'una candida vacca, o presso le statue degli dei si aggira tra carichi altari, ed inizia il giorno con doni, e nei petti squarciati degli animali, ansiosa consulta le viscere palpitanti. Ahi, mente ignara degli indovini! A che giovano i voti ad una folle, a che i templi?La fiamma divora le molli midolla intanto e tacita vive sotto il petto la ferita. Si brucia l'infelice Didone e vaga pazza per tutta la città, quale cerbiatta colpita da freccia, che da lontano un pastore, ignaro, cacciando con armi, incauta trafisse tra i boschi cretesi e lasciò il ferro alato: ella in fuga percorre le selve e le gole dittee; la punta letale aderisce nel fianco. Ora conduce Enea con sé in mezzo alle mura ed ostenta i beni sidonii e la città pronta, inizia a dire e si blocca in mezzo alla frase; ora tramontando il giorno chiede uguali conviti, e di nuovo invoca di ascoltare, pazza, i dolori di Ilio e di nuovo pende dalla bocca del narratore. Poi quando, divisi, anche la luna oscurata a sua volta copre la luce e le stelle tramontando invitano ai sogni, sola geme nella vuota reggia e sui tappeti abbandonati si sdraia. Pur lontana, lui lontano lo ode e lo vede, o trattiene Ascanio in grembo, presa dall'immagine del padre, se mai potesse ingannare l'indicibile amore. Le torri iniziate non s'alzano, la gioventù non s'allena alle armi o non preparano i porti le difese sicure per la guerra: pendono le opere interrotte e minacce ingenti di muri ed una macchina eguagliata al cielo.
PATTO TRA GIUNONE E VENERE (4. 90 -128) Ma appena s'accorse la cara consorte di Giove che ella era posseduta da tale peste e l'onore non bloccava la follia, la Saturnia affronta Venere con tali parole: "Davvero enorme gloria e ricchi bottini riportate sia tu che il tuo fanciullo, grande e momorabile potenza, se una donna, da sola fu vinta dall'inganno di due dei! Né proprio mi inganno che tu temendo le nostre mura Abbia stimato sospette le case della grande Cartagine. Ma quale sarà la regola o dove adesso, con sì grave rivalità? Perché piuttosto non concludiamo eterna pace e nozze pattuite?Hai ciò che con tutto il cuore cercasti: Brucia Didone amante ed ha tirato la follia fin al midollo. Guidiamo dunque questo comune popolo con uguali protezioni; possa servire a marito frigio e affidare alla tua destra i Tirii in dote." Capì che le aveva parlato con mente ipocrita, per volgere il regno d'Italia alle spiagge libiche, così di rimando Venere rispose: " Chi pazza rifiuterebbe tali cose o preferirebbe contendere in guerra con te? Purchè la sorte favorisca l'evento che tu ricordi. Ma son mossa incerta per i fati, se Giove voglia che ci sia una sola città per i Tirii e gli esuli da Troia, o approvi che i popoli si mischino o uniscano alleanze. Tu da consorte, per te è possibile prgando tentarne il cuore. Va' avanti, seguirò".Allora così riprese la regale Giunone: "Per me sarà questo impegno. Ora in che modo si possa concludere quello che incombe, acolta, ti insegnerò. Enea e insieme l'infelicissima Didone si preparano ad andare a caccia nel bosco, quando il Sole di domani alzerà i primi inizi e ricoprirà di raggi il mondo. Su di essi io dall'alto rovescerò una oscurante nube, con mista grandine, mentre i battitori s'affannano e cingon le gole con la rete e muoverò tutto il cielo col tuono. Scapperanno i compagni e saran coperti di opaca notte: Didone ed il capo troiano giungeranno alla stessa spelonca. Presenzierò, e se la tua volontà mi è garantita, li uniro si stabile unione e la dichiarerò sua. Qui ci sarà Imeneo." Senza opporsi alla richiedente annuì e Citerea rise per gli inganni inventati.
LA CACCIA INSIDIOSA ( 4. 129 - 159) Intanto Aurora alzandosi lasciò Oceano. La gioventù scelta, spuntato il raggio, esce dalle porte. Reti rade, lacci, spiedi da caccia ddi ferro largo, cavalieri massili e l'irruenza fiutante dei cani irrompono. I caoi dei Fenici aspettano sulle soglie la regina che si attarda in camera, bello di porpora e d'oro sta lo scalpitante e morde fiero i morsi spumegganti. Finalmente avanza, accalcandosi una grande schiera, avvolta in clamide sidonia con orlo ricamato; ha una faretra d'oro, i capelli si annodan nell'oro, una fibbia d'oro allaccia la veste purpurea. Pure i compagni frigi ed il raggiante Iulo avanzano. Lo stesso Enea il più bello di tutti gli altri si offre come compagno ed unisce le schiere. Quale Apollo quando lascia l'invernale Licia e le onde di Xanto e rivede la materna Delo ed inizia le danze, ed uniti Cretesi e Driopi ed i dipinti Agatirsi s'agitano attorno agli altari; egli avanza sui gioghi del Cinto e blocca la chioma fluente con tenero ramo aggiustandola e l'annoda nell'oro, le frecce risuonano sulle spalle: non più lento di lui andava Enea, sì gran bellezza risalta sul nobile volto. Come si giunse sugli alti monti e le impervie tane, ecco selvatiche capre lanciate dalla cima della rupe corsero giù dai gioghi; da un'altra parte i cervi attraversano le piane aperte e formano colla fuga schiere polverose e lasciano i monti. Ma il piccolo Ascanio in mezzo alle valli gode per il fiero cavallo ed ora sorpassa questi, ora quelli al galoppo e brama con voti che si offra tra i timidi branchi uno spumante cinghiale o che scenda dal monte un rosso leone.
LE NOZZE SEGRETE ( 4.160- 197) Intanto il cielo comincia turbarsi con un gran brontolìo, avanza una nube con mista grandine, ed i compagni tirii e la gioventù troiana ed il dardanio nipote di Venere dappertutto con paura per i campi cercarono diversi ripari; torrenti corron dai monti. Alla stessa spelonca giungono Didone ed il capo troiano. Sia la Terra per prima sia Giunone pronuba danno il segnale; rifulsero vampe e l'etere complice nell'unione e le Ninfe ulularon sulla cime del monte. Quel giorno fu il primo della morte e per primo fu la causa dei mali; infatti non è distolta da decoro o fama Didone, né medita un amore furtivo: lo chiama connubio, con tal nome nascose la colpa. Subito Fama va per le grandi città di Libia, Fama, male di cui nessun altro è più veloce: si rafforza colla mobilità ed acquista forze andando, piccola alla prima paura, poi s'innalza nell'aria, ed avanza sul suolo, ma nasconde il capo tra le nubi. La Madre Terra, irritata dall'ira degli dei, la generò, come raccontano, ultima sorella di Ceo ed Encelado, veloce a piedi e con ali infaticabili, mosro orrendo, enorme, quante ha penne nel corpo, tanti sotto sono gli occhi vigili, mirabile a dirsi, tante le lingue, altrettante bocche risuonano,tante orecchie drizza. Vola di notte nel mezzo di cielo e terra nell'ombra stridendo, né abbassa gli occhi nel dolce sonno; con la luce sta sentinella o in cima alla sommità del tetto o sull'alte torri, e terrorizza le grandi città, tenace portatrice di falso e di male che di vero. Costei allora riempiva i popoli di molteplice chiacchiera godendo e parimenti decantava cose fatte e non fatte: esser giunto Enea, nato da sangue troiano, cui la bella Didone si degna di unirsi come a marito; ora durante l'inverno, quanto è lungo, si tengon caldi nel lusso imemori dei regni e rapiti da turpe passione. Questo qua e là la sporca dea diffonde sulle bocche degli uomini. Poi storce i passi verso il re Iarba gli incendia cil cuore con le dicerie ed accumula le ire.
IL RE IARBA SDEGNATO (4.198-218) Questi nato da Ammone e dalla ninfa rapita Garamantide creò per Giove cento immensi templi nei vasti regni, cento altari e aveva dedicato il fuoco vigile, eterne guardie degli dei, un suolo ricco di sangue di mandrie ed ingressi fiorenti di varie ghirlande. E lui pazzo in cuore e accesso dall'amara diceria, si dice, avesse pregato molto Giove supplicando con mani alzate davanti agli altari in mezzo alle immagini degli dei: Giove onnipotente, cui ora il popolo marusio banchettando su ricamati letti liba l'offerta lenea, vedi questo? Forse, padre, quando lanci i fulmini, invano ti temiamo, vampe cieche tra le nubi atterriscono gli animi producono vuoti mormorii? Una donna, che errando creò nei nostri paesi una piccola città col danaro, cui concedemmo il litorale da arare, cui pure le leggi del luogo, respinse le nostre nozze ed accolse come signore Enea nei regni. Ed ora quel Paride con un codazzo effeminato, allacciando il mento e la chioma fradicia con mitra meonia, è padrone del furto: noi davvero ai tuoi templi portiamo doni e nutriamo un culto vuoto?"
ORDINI DI GIOVE AD ENEA (4.219 -295) Lo sentì che pregava con tali parole e tenendo gli altari l'Onnipotente, storse gli occhi alle mura regali ed agli amanti dimentichi di fama migliore. Allora così parla a Mercurio e questo gli affida: "Su, va', figlio, chiama gli Zefiri e scendi a volo e parla al capo dardanio, che ora aspetta nella tiria Cartagine e non guarda alle città concesse dai fati e riferisci veloce le mie parole nel cielo. Non ce lo promise tale la bellissima madre e lo protegge perciò due volte dall'armi dei Grai; ma che guidasse l'Italia gravida di potenze e fremente di guerra, che propagasse la stirpe dal grande sangue di Teucro e mettesse sotto leggi il mondo intero. Se nessuna gloriadi sì grandi imprese lo accende né lui si smuove all'impegno per il suo onore, come padre invidia forse ad Ascanio le rocche romane? Che combina? O con quale mira si ferma tra gente nemica e non guarda alla prole ausonia ed ai campi di Lavinio? Navighi! Questa è la conclusione, questo sia il nostro avviso". Aveva sentenziato. Egli si preparava ad ubidire all'ordine del gran padre; e prima si allaccia i calzari d'oro ai piedi, che lo portano altissimo con le ali sia sopra le acque e la terra ugualmente con veloce soffio. Allora prende la verga: con questa egli richiama le anime pallide dall'Orco, altre le invia sotto i tristi Tartari, dà i sonni e li toglie, e libera gli occhi dalla morte. Munendosi di essa spinge i venti e trapassa le torbide nuvole. Ormai volando vede la vetta ed i fianchi ripidi del duro Atlante che regge col capo il cielo, di Atlante, cui la testa ricca di pini frequentemente è cinta di nere nubi ed è battuta da vento e da pioggia, la neve scesa copre le spalle, poi fiumi precipitano dal mento del vecchio e l'ispida barba s'irrigidisce pel ghiaccio. Qui dapprima il Cillenio splendente si fermò con l'ali appaiate; di qui con tutto il corpo si lanciò capofitto nell'onde simile ad uccello, che attorno alle spiagge, attorno ai pescosi scogli vola basso vicino alle acque. Non diversamente volava tra cielo e terra verso il lido sabbioso di Libia, e la prole cillenia provenendo dall'avomaterno tagliava i vemti. Appena con le piante alate toccò i sobborghi, vede Enea che fonda le rocche e crea nuove case. Egli aveva pure una spada costellata di rosso diaspro ed un mantello di porpora tiria,che scendeva dalle spalle, splendeva: questo dono l'aveva fatto la ricca Didone e l'aveva trapuntato la stoffa d'oro sottile. Subito l'assale: " Tu adesso poni le fondamenta della grande Cartagine e ligio alla moglie costruisci una bella città. Ahimè, dimentico del regno e delle tue imprese. Lo stesso re degli dei mi invia dallo splendido Olimpo, lui che con potenza volge cielo e terra, lui ordina di recare questi ordini nei cieli veloci: cosa combini? O con che speranza rovini il tempo in terre libiche? Se non ti smuove nessuna fama di tante imprese né tu affronti l'impegno per la tua gloria, guarda ad Ascanio che cresce ed alle speranze dell'erede Iulo, cui è dovuto il regno d'Italia e la terra Romana." Dpo aver parlato con tale espressione il Cillenio lasciò le sembianze mortali nel mezzo del discorso e disparve dagli occhi nell'aria leggera. Ma Enea davvero alla vista ammutolì, fuor di sé, e le chiome dritte e la voce s'attaccò alle fauci. Brucia di andarsene in fuga e lasciare le dolci terre, attonito per sì grande monito e ordinedegli dei. Ahi, che fare? Con quale parola osare avvicinare la regina impazzita? Quali iniziative prender per prime? Ed ora divide la mente veloce ora qui ora là la strappa in vari pezzi e si volge dappertutto. A lui altalenante questo parere parve migliore: chiama Mnesteo e Sergesto ed il forte Seresto, zitti allestiscan la flotta e spingan ai lidi i compagni, preparino armi e dissimulino quale sia la causa per cambiare i piani; lui intanto, poiché l'ottima Didone non sa e non spera che siì grandi amori si spezzino, tenterà le strade ed i momenti più teneri di parlare, quale sia il modo adatto alle cose. Subito tutti lieti obbediscano all'ordine ed eseguono i comandi.
LAMENTO DI DIDONE (4.296 -330) Ma la regina (chi potrebbe ingannare un amante?) presentì, per prima colse i movimenti futuri temendo ogni sicurezza. La stessa empia Fama riferì a lei impazzita, che si allestiva la flotta e si preparava la rotta. Impazza annichilita nel cuore e furiosa per la città smania come baccante, come Tiade scossa, iniziati i riti, quando udito Bacco, le orge triennali la stimolano ed il notturno Citerone la chiama col frastuono. Infine spontaneamente affronta Enea con queste frasi: "Sperasti pure poter dissimulare, perfido, sì gran sacrilegio e zitto allontanarti dalla mia terra? Né ti trattiene il nostro amore né la destra data un giorno né una Didone desinata amorre di morte crudele? Anzi anche con stella invernale allestisci la flotta e ti affrettia ad andare al largo in mezzo agli Aquiloni, crudele? Che? Se non cercassi campi stranieri e case ignote e restasse l'antica Troia, Trioa sarebbe cercata con flotte per il mare ondoso? Forse fuggi me? Io per queste lacrime e la tua destra te, poiché io stessa non lasciai null'altro a me misera, per i nostri vincoli, per le nozze incominciate, se per te meritai bene qualcosa, o per te ci fu qualche mia tenerezza, abbi pietà d'una casa che crolla e cancella, ti prego, se ancora c'è un posto per le preghiere, questa idea. A causa di te i popoli libici ed i tiranni dei Nomadi mi odiano, contrari i Tirii; proprio a causa di te fu estinto il pudore ela fama per prima, per la quale io sola salivo alle stelle. A chi mi abbandoni moribonda, ospite, solo questo nome da un marito mi resta? Che aspetto? Forse fin che il fratello Pigmalione distrugga le mie mura o il getulo Iarba mi porti prigioniera? Almeno se prima della fuga mi fosse nato da te un figlio, se un piccolo Enea mi giocasse nella reggia, che ti richiamasse col volto, nom mi sembrerei del tutto delusa e abbandonata"
LA RISPOSTA DI ENEA(4.331- 361) Aveva detto. Egli teneva gli occhi immobili agli ordini di Giove e sforzandosi premeva il dolore dentro il cuore. Finalmente proferisce poche cose: "Io mai negherò che tu hai meriti, i maggiori che parlando sei in grado di enumerare, o regina, né mi rincrescerà ricordarmi di Elissa, fin che io stesso sia memore di me, fin che lo spirito regga queste membra. Per il fatto dirò poco. Né io sperai nasconder con frode questa fuga, non credere, né mai ho alzato fiaccole di marito o venni a tali patti. Io se i fati permettessero di condurre la vita secondo miei desideri e e calmare gli affanni di mia scelta, anzitutto onorerei la città troiana ed i dolci resti dei miei, si manterrebbero le alte regge di Priamo, e con mano ostinata avrei rifatto Pergamo per i vinti. Ma ora Apollo grineo e gli oracoli dei Licia mi han comandato di raggiungere Italia; questo il mio amore, questa è la mia patria. Se le rocche di Cartagine e la vista d'una città libica trattiene te, Fenicia, quale invidia c'è che finalmente i Teucri si fermino su terra ausonia? E' fato che anche noi cerchiamo regni stranieri. Me terrorizza la sconvolta immagine del padre Anchise e mi ammonisce in sogno, quando, piovendo le ombre, la notte ricopre le terre, quando gli astri ignei sorgono; Me, pure, i piccolo Ascanio ed il torto del caro volto che defraudo del regno d'Esperia e dei campi fatali. Ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove, lo giuro sul capo d'entrambi, inviò ordini attraverso i cieli veloci: io stesso vidi il dio in chiara visione che penetrava le mura e ne assorbii la voce con queste orecchie. Smetti di incendiare me e te coi tuoi pianti; l'Italia la inseguo non spontaneamente."
DISPERAZIONE DI DIDONE ( 4. 362 -392) Girata ormai lo guarda dir tali cose girando qua e là con gli occhi e tutto lo squadra con sguardi muti e così accesa prorompe: "Né una dea ti fu genitrice né Dardano capostipite, perfido, ma ti generò da duri macigni l'orrendo Caucaso e tigri ircane offriron le mammelle. Ma che dissimulo o a quali cose maggiori mi riservo? Forse che gemette al nostro pianto? Forse chinò gli sguardi? Forse, vinto, versò lacrime o commiserò l'amante? Cosa opporrò acosa? Ormai neppure la massima Giunone né il padre saturnio guarda questo con occhi giusti. In nessun luogo lealtà sicura. L'ho accolto buttato sul lido, bisognoso ed io pazza lo misi a parte del regno. Riportai la flotta perduta ed i compagni da morte. Ahi, incendiata dalle furie son portata..: ora Apollo augure, ora i responsi di Licia, ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove porta per i cieli i comandi. Senz'altro questa è la pena per i celesti, tale affanno affatica i tranquilli. Né ti trattengo né ribatto le parole: Va, insegui coi venti l'Italia, cerca regni attraverso le onde. Spero davvero che in mezzo a scogli, se le pie preghiere posson qualcosa, berrai i supplizi e spesso chiamerai per nome "Didone!". Assente t'inseguirò con neri fuochi e, quando la morte separerà le membra dall'anima, io, ombra sarò in tutti i luoghi. Pagherai, malvagio, il fio. Sentirò anche sotto i profondi Mani verrà tale notizia". Con queste parole ruppe a metà il discorso ed i cieli fugge, malata, e si fira e si toglie dagli occhi, lasciandolo molto tentennante di paura e preparandosi a dire molto: la sorreggono le ancelle e riportano le membra crollate sul letto di marmo e le ripongono sui cuscini.
PREPARATIVI PER LA PARTENZA (4. 393 - 407) Ma il pio Enea, benchè brami lenire la dolente consolandola e allontanare con parole gli affanni, molto gemendo travolto nell'animo dal grande amore esegue tuttavia i comandi degli dei e rivisita la flotta. Allora davvero i Teucri lavorano e portan le alte navi su tutto il lido. Galleggia la carena unta, e portano remi frondosi dai boschi e tavole non lavorateper la smania di fuga. Li vedresti migrare e correre da tutta la città: e come quando le formiche saccheggiano un gran mucchio di farro memori dell'inverno e lo ripongono in casa, va per i campi la nera schiera e trascinano la preda tra l'erbe per angusto sentiero; parte spingono enormi grani portandoli sulle spalle, parte spingono le schiere e sgridano le pigre, tutta la strada ferve di lavoro.
ULTIMO TENTATIVO DI DIDONE ( 4.408- 454) Quale sensazione allora per te, Didone, che osservavi tali cose che gemiti mandavi, spiando dall'alto della rocca attorno animarsi i lidi e vedendo davanti agli occhi tutto il mare sconvolgersi di così alte grida. Malvagio Amore, a cosa non spingi i cuori mortali? Ancora è costretta a gettarsi in lacrime, ancora a tentare supplice, pregando, di soggiogare all'amore i sentimenti, per non lasciare invano qualcosa destinata a morire. "Anna, vedi che ci si affretta attorno a tutto il lido: si son radunati da ogni parte; ormai la vela invoca i venti, e allegri i marinai misero sulle poppe le corone. Se io potei immaginare questo sì gran dolore, sorella, potrò pure sopportarlo. Per me misera tuttavia, Anna, esegui solo questo: quel perfido infatti te sola onorava, a te pure affidava arcani sentimenti; tu sola conoscevi le tenere vie ed i momenti dell'uomo. Va, sorella, e supplice parla al superbo nemico: non io giurai con i Danai di sterminare il popolo troiani in Aulide o mandai a Pergamo la flotta, né violai il cenere o i Mani del padre Anchise: perché rifiuta di accogliere nelle dure orecchie i miei detti? Dove scappa? Dia questo ultimo dono alla misera amante: aspetti una fuga facile e venti che aiutano. Non chiedo più l'antica unione, che tradì, né che si privi del bel Lazio e abbandoni il regno. Chiedo un tempo vuoto, quiete e spazio al furore, fin che la mia sorte mi insegni a soffrire, vinta. Questa ultima grazia prego, abbi pietà della sorella, e se mela concederà la restituirò accresciuta dalla morte." Con tali parole pregava, e la miserrima sorella porta e riporta tali pianti. Ma lui non è smosso da alcun pianto o arrendevole ascolta alcuna espressione; i fati lo vietanoed un dio chiude le calme orecchie dell'eroe. E come quando le Bore alpine gareggiano tra loro a sradicare una forte quercia di annosa forza con soffi ora di qui ora di là; va lo stridore e le alte fronde cospargono la terra, essendo scosso il tronco; lei aderisce ai macigni e quanto colla cima tende ai cieli, altrettanto con la ratice al Tartaro: non diversamente l'eroe è colpito da una parte e dall'altra da frasi continue, e nel gran petto recepisce gli affanni; la mente resta immota, le lacrme scorrono inutili.
PRESAGI FUNESTI PER DIDONE ( 4.450- 473) Allora davvero l'nfelice Didone, atterruta dai fati prega la morte; l'infastidisce guardare la convessità del cielo. Per concluder meglio il proposito e lasciare la luce, vide, ponedo i doni sugli altari fumanti incenso, (orribile a dirsi) annerirsi le sacre acque ed i vini versati cambiarsi in lurido sangue. A nessuno raccontò questa visione, neppure alla stessa sorella. Ancora ci fu nella regga un tempio di marmo del vecchio marito, che venerava con grande onore, addobbato di nivee lane e fronde festiva: di qui sembrò si sentissero voci e parole del marito che chiamava, mentre la notte copriva le terre, ed unico il gufo dai tetti con canto funereo spesso lamentarsi e volgere in pianto lunghi versi; ed inioltre molte predizioni di antichi indovini con terribile monito terrificano. Lo stesso Enea nei sogni crudele tormenta la furiosa, sempre si vede sola, abbandonata, sempre andare per una lunga via, senza seguito, su terra deserta cercare i Tirii, come Penteo, pazzo, vede mostrarsi le schiere delle Eumenidi e doppio sole e doppia Tebe, o come l'agamenninio Oreste spinto sulle scene, quando fugge la madre armata di fiaccole e neri serpenti e le Dire vendicatrici siedono sulla soglia.
PREPARAZIONE DELLA MORTE ( 4. 474 -503) Perciò come accolse le furie, vinta dal dolore, e decise di morire, lei stessa tra sé sceglie tempo e modo, e rivolgendosi con parole alla mesta sorella copre la decisione in volto ed in fronte rasserena speranza. "Trovai, sorella, la via (tallegrati con la sorella), che mi restituisca lui o da lui sciolga me che l'amo. Vicino al confine dell'Oceano ed al sole cadente c'è un luogo, l'ultimo degli Etiopi, dove il massimo Atlante a spalla gira l'asse unito alle ardenti stelle: Di qui mi fu mostrata una sacerdotessa del popolo massilo, custode del tempio delle Esperidi, che dava cibo al drago e conservava sacri rami su di una pianta, spargendo umidi mieli e soporifero papavero. Costei promette con canti di sciogliere le menti, che vuole, anzi di mandare ad altri i duri affanni, fermar l'acque nei fiumi e volgere indietro le stelle, e muove i Mani notturni: vedrai muggire la terra sotto i piedi e gli orni scendere dai monti. Giuro, cara, per gli dei e per te, sorella, e la tua dolce persona, che contro voglia mi accingo ad arti magiche. Tu innalza silenziosa nell'interno della casa un rogo sotto i cieli e le armi dell'uomo, che lasciò fisse sul letto, l'empio, e tutte le spoglie ed il letto coniugale, per cui morii, metti sopra: piace cancellare tutti i ricordi dell'uomo nefando e lo dichiara la sacerdotessa" Ciò detto, tace, intanto il pallore occupa il volto. Tuttavia Anna non crede nasconda coi riti strani la morte, né con la mente concepisce sì grandi pazzie o teme cose più gravi della morte di Sicheo. Perciò esegue gli ordini.
RITI SEGRETI E MAGIA (4. 504 -521) Ma la regina, eretto il grande rogo nella parte interna sotto i cieli con rami di pino e leccio tagliato, riveste il luogo di ghirlande e l'incorona di fronda funerea; pone sul letto le spoglie e la spada lasciata l'effigie non ignara del futuro. Gli altari stanno attorno e la sacerdotessa, sciolta i capelli, trecento volte grida gli dei, Erebo e Caos e la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana. Aveva pure sparso le acque simulate della fonte d'Averno, si cercano erbe rigonfie con latte di nero veleno mietute sotto la luna con falci di bronzo ; si cerca anche l'amore strappato dalla fronte d'un cavallo nascente rubato alla madre. Lei stessa con ffarina e mani pie presso gli altari, toltasi un piede dai calzari in veste discinta, destinata amorire invoca gli dei e le stelle consce del fato; poi se c'è una qualche potenza, giusta e benevola, ha a cuore gli amanti con sorte ingiusta, la prega.
L'ULTIMA VEGLIA DI DIDONE (4.522 - 552) Era notte ed i corpi stanchi prendevan placido riposo sulle terre, le selve ed i mari crudeli eran quieti, quando le stelle volgono a metà del giro, quando ogni campo tace, le mandrie e gli uccelli variopinti, che occupano attorno i limpidi laghi e campagne aspre di spini, riposti nel sonno sotto notte silenziosa. [addolcivano gli affanni ed i cuori dimentichi delle fatiche] ma non la Fenicia infelice nel cuore, né mai si scioglie nel sonno o coglie negli occhi e nel cuore la notte: si raddoppiano gli affanni e di nuovo risorgenso incrudelisce amore e vacilla nella gran vampa delle ire. Così di più insiste e tra sé così medita in cuore: " Ecco, che faccio? Forse di nuovo derisa affronterò i vecchi pretendenti, supplice cercherò le nozze dei Nomadi, quei mariti che ormai tante volte ho sdegnato? Inseguirò dunque le flotte iliache e gli ultimi ordini dei Teucri? Forse perché serve sian stati prima alleviato da aiuto e sta bene la riconoscenza presso i memori d'un vecchio fatto? Chi poi, ammetti di volerlo, permetterà o accoglirà me odiata sulle superbe barche? Ahimè, non sai, disperata e non capisci i tradimenti del popolo laomedonteo? Chè dunque? Da sola in fuga accompagnerò marinai festanti? O attorniata dai Tirri e da ogni schiera dei miei mi trascinerò e, qelli che a stento portai dalla città sidonia, di nuovo porterò per il mare e ordinerò di dare la vele ai venti? Muori piuttosto come hai meritato, cancella con la spada il dolore. Tu vinta dalle mie lacrime, sorella, tu per prima mi aggravi di questi mali e butti me pazza davanti al nemico. Non fu lecito passar la vita priva di nozze senza colpa come una fiera, e non toccare tali affanni; non fu salvata la fede promessa alla cenere di SicheO".
IMPROVVISA PARTENZA DI ENEA ( 4. 553- 583) Ella prorompeva dal suo cuore così grandi lamenti: Enea sull'alta poppa ormai sicuro di andare prendeva sonno, già ben preparate le cose. A lui si offrì nei sogni l'immagine del dio che tornava con lo stesso volto e di nuovo parve ammonire così: in tutto simile a Mercurio, e voce e colore e biondi capelli e membra belle di giovinezza: "Figlio di dea, puoi continuare il sonno in questa situazione, né vedi quali pericoli poi stiano attorno a te, pazzo, né senti gli Zefiri spirare favorevoli? Lei macchina tranelli incuore e crudele delitto, sicura di morire, ed eccita varie tempeste di ire. Non fuggi di qui di fretta, mentre c'è possibilità di affrettarsi? Ormai vedrai il mare scuotersi di legni e brillare fiamme crudeli, ormai i lidi ribollire di fiamme, se Aurora ti coglierà ad indugiare su queste terre Orsù vai, rompi gli indugi. E' sempre un essere vario e mutevole la donna". Detto così, si confuse nella nera notte. Allora Enea atterrito dalle ombre improvvise strappa il corpo dal sonno e sprona i compagni rapidi: "Vigilate, uomini, e sedete ai remi; svelti sciogliete le vele. Un dio inviato dall'alto cielo ecco di nuovo ci stimola ad affrettare la fuga e taglaire le corde attorcigliate. Ti seguiamo, santo tra gli dei, chiunque sia, e di nuovo festanti obbediamo al comando. Oh, assistici, aiutaci benevolo e porta dal cielo stelle propizie." Disse ed estrae dal fodero la spada fulminea e, impugnata l'arma, taglia gli ormeggi. Insieme lo stesso ardore prende tutti, si buttano e corrono; lasciarono i lidi, il mare è nascosto sotto le flotte, sforzandosi taglian le spume e spazzan l'azzurro.
PAROLE DI MALEDIZIONE CONTRO ENEA (4.584- 629) E gia la prima Aurora lasciando giaciglio di croco di Titone spruzzava le terre di nuova luce. La regina dalle vedette come vide biancheggiare la prima luce e la flotta procedere a vele spiegate, e s'accorse dei lidi e dei porti vuoti senza un rematore, percuotendo il bel petto con la mano e tre e quattro volte e sciolta nelle biondeggianti chiome " Oh Giove. Andrà costui, dice, e lo straniero si befferà dei nostri regni? Gli altri non prenderanno le armi e inseguiranno da tutta la città e strapperanno le barche dagli arsenali? Andate, rapidi portate fiamme, date armi, spingete i remi. Che dico? O dove sono? Che pazzia cambia lla mente? Infelice Didone, ora fatti sacrileghi ti colpiscono? Allora andò bene, quando davi lo scettro. Ecco destra e lealtà, quello che dicono portare con sé i sacri penati, che dicono aver sostenuto sulle spalle il padre logorato dall'età. Non ho potuto strappare il corpo maciullato e spargerlo sulle onde? Non branare i compagni, lo stesso Ascanio con la spada e metterlo da mangiare sulle mense paterne? Davvero era dubbia la sorte della battaglia. Lo fosse stata: chi temetti, destinata a morire? Avrei portato le fiamme nell'accampamento, riempito di fuochi le tolde, estinto il figlio ed il padre con la stirpe, e posto me stessa su quelli. Sole, che illumini di raggi tutte le opere delle terre, tu pure mediatrice e consapevole di questi affanni, Ecate ululata nelle città nei trivi notturni e Dire vendicatrici e dei della morente Elissa, accettate questo, volgete ai malvagi la giusta vendetta e ascoltate le nostre preghiere. Se è necessario cle l'infame persona tocchi i porti e navighi su terre e così chiedono i fati di Giove, questo traguardo è fisso, però oppresso dalla guerra d'un popolo fiero e dalle armi, esule dai territori, strappato dall'abbraccio di Iulo implori aiuto e veda le indegne morti dei suoi; né, consegnatosi sotto leggi di iniqua pace, goda del regno o della luce desiderata, ma cada prima del tempo ed insepolto in mezzo alla sabbia. Questo prego, verso questa ultima frase col sangue. Poi, voi, o Tirii, trattate con odio la stirpe e tutto il popolo futuro, ed inviate alla nostra cenere questi regali. Per i popoli non ci siano alcun amore e patti. Sorgi tu, un vendicatore, dalle nostre ossa sì, insegui i coloni dardanii col ferro e col fuoco, ora, dopo, in qualunque tempo si daranno le forze. Prego lidi opposti a lidi, onde a flutti, armi ad armi: combattano sia loro, sia i nipoti."
MORTE DELLA REGINA DIDONE ( 4.630-666) Questo disse, e volgeva la mente in tutte le parti, cercando troncare l'odiata luce al più presto. Poi brevemente si rivolse a Barce, nutrice di Sicheo, (infatti la nera cenere teneva la sua nell'antica patria): " Nutrice a me cara, chiama qui la sorella Anna: di' che s'affretti a cospargersi il corpo di acqua fluviale, e porti con sé gli animali ed i sacrifici indicati. Venga così, tu pure con la pia benda copri le tempie. L'idea è di completare i riti, che iniziati preparai bene, a Giove stigio e porre fine agli affanni ed affidare il rogo dell'uomo dardani alla fiamma.". Così disse. Quella affrettava il passo con lena senile. Ma trepidante e furente per i propositi atroci, Didone volgendo lo sgardo di sangue, chiazzata le guance frementi di chiazzee pallida della futura morte, irrompe nelle stanze interne della casa e sale impazzita gli alti roghi e sguaina la spada Dardania, regalo chiesto non per questi usi. Qui, dopo che guardò le vesti iliache ed il noto letto, fermatasi un po' per lacrime e pensiero si buttò sul letto e disse le ultime parole: "Dolci spoglie, fin che i fati ed il dio permetteva, accogliete quest'anima e scioglietemi da questi affanni. Vissi ed il corso che la sorte mi diede, l'ho compiuto, ed ora la grande immagine di me andrà sotto le terre. Fondai una città famosa, vidi le mie mura, vendicato il marito, ricevetti soddisfazione dal fratello nemico, felice, ahi, troppo felice, se soltanto le carene dardanie non avessero mai toccato i nostri lidi.". Disse ed impressa la bocca sul letto"Moriremo invendicate, ma moriamo" disse. "Così, così è bello andar sotto le ombre. Il crudele dardano beva con gli occhi questo fuoco dall'alto, e porti con sé i presagi della nostra morte". Aveva detto, e le compagne in mezzo a tali parole la vedono crollata sull'arma, e la spada spumeggiante di sangue e cosparse le mani. Va il grido alle alte stanze: Fama furoreggia per la città sconvolta.
DISPERAZIONE DELLA SORELLA ANNA (4.667- 705) Di lamenti e di pianto e di ululare femminile fremono le case, l'aria risuona delle alte grida., non diversamente che, entrati i nemici, Cartagine tutta o l'antica Tiro crolli e le fiamme furiose s'avvolgano per i tetti degli uomini e degli dei. Sente esanime la sorella e atterrita con tremante corsa rovinandosi il volto con le unghie ed il petto coi pugni corre in mezzo e chiama la morente per nome: "Questo fu proprio, sorella?Mi colpivi con l'inganno? Questo mi riservava tale rogo, questo i fuochi e gli altari? Abbandonata di che mi lamenterò prima? Morendo hai rifiutato la sorella come compagna? Mi avessi chiamata agli stessi fati, lo stesso dolore e la stessa ora avesse prese entrambe con la spada. Costruii anche con queste mani ed invocai con la voce gli dei patrii perché fossi, crudele, posta lontano da te? Uccidesti, sorella, te e me ed il popolo e gli antenati sidonii e la tua città. Date, con le acque laverò le ferite e, se un ultimo sospiro vaga ancora, lo raccoglierò con la bocca." Detto così aveva scalato gli alti gradini, ed abbracciatala scaldava sul petto la sorella semiviva con gemiti ed asciugava colla veste il nero sangue. Ella tentando di alzare i pesanti occhi di nuovo sviene; nel petto la piaga impressa stride. Tre volte alzandosi e appoggiandosi al gomito si levò, tre volte si riversò sul letto e con gli occhi erranti in alto cercò in cielo la luce e gemette ritrovatala. Allora Giunone onnipotente commmiserando il lungo dolore del difficile trapasso mandò Iride dall'Olimpo che sciogliesse l'anima lottante e le membra incatenate. Infatti poiché moriva né per fato nè per morte meritata, ma infelice prima del giorno e acceda da improvviso furore, non ancora Proserpina le aveva strappato dal capo il biondo capello e condanata la persona all'Orco stigio. Perciò Iride rugiadosa con le penne di croco per il cielo traendo mille vari colori nel sole davanti vola giù e si fermò sopra la testa. "Io comandata porto questo sacro a Dite e sciolgo te da questo corpo": così disse e con la destra taglia il capello, tutto il calore insieme svanì e la vita si disperse nei venti.
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